Prevenire i dissesti
Oggi manca una regia

Sembra ieri, invece sono passati 27 anni dall’alluvione del 1987 e spesso si sente dire che nulla è cambiato. Dopo quegli eventi, ci fu un boom di iscrizioni alla facoltà di geologia, Regione Lombardia emanò una serie di norme che imposero la redazione degli studi geologici a supporto dei piani urbanistici, per individuare le aree inedificabili del territorio comunale. Più recentemente sempre la Regione ha emanato una norma per l’individuazione del Reticolo idrico minore, cruciale come i grandi fiumi se non di più, e per la redazione delle norme che ne disciplinano la gestione.

Allora perché vi sono ancora tanti dissesti e tante aree allagabili? Perché il pericolo è proprio di un pianeta vivo, di un territorio fragile come il nostro; negli anni si è cercato di mitigare il rischio attuando buone pratiche di gestione del territorio, almeno fino a quando Regione Lombardia ha svolto un ruolo di regia e controllo degli studi geologici, operando una omogeneizzazione e uniformità degli stessi e stanziando fondi per la loro redazione. Troppo spesso nel budget dei Comuni la componente urbanistica prevale nettamente rispetto agli studi di settore (geologico, forestale e agronomico), con un rapporto anche di 10 a uno, con la conseguenza che con poche migliaia di euro si devono svolgere specifici rilievi del territorio e indagini in sito.

Inoltre, ancora oggi purtroppo non è radicato in molte istituzioni il concetto di prevenzione, per cui vengono richiesti agli architetti pacchetti di piani urbanistici completi ed omnicomprensivi, obbligando i geologi, i forestali e gli agronomi a lavorare in regime di subappalto. A partire dal 2005, con l’emanazione della nuova legge di governo del territorio (L.R. 12/05) anche la componente geologica è divenuta una prerogativa comunale, sminuendo la funzione e il ruolo prescrittivi degli enti superiori.

Il risultato è che vi sono alcuni Comuni che hanno approvato Piani di governo del territorio (Pgt) con modifiche dei perimetri di aree inedificabili, hanno proposto interventi edificatori su aree che hanno una forte vocazione naturalistica e/o di aree di esondazione dei corsi d’acqua o in aree in dissesto, anche grazie a professionisti che interpretano le norme piuttosto che attenersi alle stesse, così andando a scaricare sulla collettività i futuri costi degli inevitabili interventi di messa in sicurezza e ripristino. Le norme ci sono, basterebbe farle rispettare; ad esempio non si potrebbero intubare i corsi d’acqua, mentre frequentemente capita che le richieste di privati in tal senso, spesso per una errata valutazione di contenimento dei costi di manutenzione, vengano autorizzate dagli enti gestori dei corsi d’acqua.

La conseguenza di una mancata regia generale è sotto gli occhi di tutti: 1)chiunque frequenti le nostre valli, e ricordi ciò che avvenne nel 1987, può testimoniare che nelle aree interessate dall’alluvione o dai dissesti vi sono nuove costruzioni o semplicemente ampliamenti di costruzioni esistenti. Allora si parlava di delocalizzare gli edifici coinvolti, ampliare le aree di rispetto attorno ai fiumi, di programmare e gestire costantemente la manutenzione delle opere per garantirne il loro corretto funzionamento nel momento critico. 2) Vengono presentati Piani integrati di intervento con titoli fuorvianti come«Riqualificazione ambientale dell’area….» , che nella realtà celano esclusivamente l’interesse edificatorio in aree di pertinenza fluviale che, come provano le recenti «bombe d’acqua», sono state interessate da esondazione dei corsi d’acqua.

Tutti questi interventi che prevedono un aumento della presenza di persone in zone potenzialmente pericolose, incrementano il rischio di «effetti catastrofici di eventi naturali», come continuamente dice – lo ha dichiarato ieri anche su «L’Eco di Bergamo» –, speriamo non invano, il geologo Sergio Chiesa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA