Provincia defunta
ma lascerà eredi

Beati voi che avete le Comunità montane e una pianificazione urbanistica regionale vincolante per i Comuni», sospira l’anziano ingegnere francese impegnato in patria nell’ennesima battaglia contro il cemento che degrada il paesaggio dalla Costa Azzurra alle Alpi. L’ex grand commis e ambasciatore non nasconde la sua delusione per il difficile rapporto con gli amministratori locali e tra le stesse istituzioni.

L’esercito degli oltre 36mila sindaci della République (più di Italia, Spagna e Germania messe assieme) nutre uno spiccato senso dell’autonomia e il tentativo in atto di accorpare la pletora di piccoli Comuni non appare compito facile.

Beati dunque noi italiani? Sarà, ma qualche problemuccio l’abbiamo anche a est del monte Bianco. Da una parte ci sono i quasi seimila Comuni con meno di cinquemila abitanti, soglia sotto la quale l’autonomia costa cara. Ragion per cui la recente riforma Delrio li obbliga ad associarsi. La stessa Regione Lombardia, la meno malmessa delle consorelle, ha dovuto prendere atto poco più di un anno fa che nemmeno l’urbanistica è oggi razionalmente gestibile a livello comunale, nonostante la vigente pianificazione regionale. Tanto da sentirsi in dovere di emanare una ulteriore legge per contenere l’allegro consumo di suolo da parte dei Comuni, affrancati dai controlli che un tempo ne frenavano la disinvoltura.

L’interfaccia del malessere comunale è quello stesso che investe le Regioni, come dimostrano i 1.500 ricorsi contro lo Stato negli ultimi tre lustri nonché la ridda di procedimenti contabili e penali a carico di amministratori regionali (sono quasi cinquecento i consiglieri sotto inchiesta).

Se in Lombardia la stessa Regione si dice impossibilitata a gestire il rapporto con ben dieci milioni di abitanti e 1.528 Comuni, ragion per cui non appare sensato addossarle funzioni delle ex Province, dall’altra è difficile che possano essere i Comuni ad esercitarne di ulteriori dal momento che vengono invitati a una dieta dimagrante a favore di eterogenei livelli superiori.

Il problema che si sta tentando empiricamente di risolvere sembra dunque, almeno in Lombardia, quello di superare la cancellazione delle Province riassegnandone le funzioni a «un nuovo ente», come ha precisato il presidente Maroni. «La Regione non può tenere i rapporti con i piccoli Comuni, un ente intermedio serve» dicono in giunta. Ma se così fosse, si riproporrebbe sotto mentite spoglie la defunta Provincia, il che indurrebbe a chiedersi che senso abbia l’imminente soppressione.

La Francia, che dopo il recente accorpamento regionale spinge i Comuni ad associarsi potenziando le 2.600 «intercomunalità», interviene sì sull’ente intermedio, il Dipartimento, ma per ora non lo elimina, pur avendo ben quattro affollati livelli di autonomie locali.

Gli scenari che si intravedono ripropongono da noi forme di sussidiarietà zoppicante e di neocentralismo regionale devastante, volta a volta ingentilite da bizzarre utopie come la ventilata fusione Bergamo-Brescia che i bookmaker pagherebbero probabilmente venti volte la posta (e che forse turberebbe i sonni di Carletto Mazzone).

Insomma, sembra che l’ente intermedio ghigliottinato non morirà senza lasciare eredi. Il che solleva qualche interrogativo anche sul versante della onirica spending review, considerato che di economie significative non se ne attendono, a meno che si taglino di brutto i servizi resi al cittadino, come peraltro si sta già facendo. Basta vedere come sono ridotte le strade.

Il primo editto contro le Province non è partito stavolta dal Parlamento bensì dai giornaloni nazionali una decina di anni fa. I politici si sono adeguati, visto che la ghigliottina di tifosi ne ha sempre. E i tifosi votano. Morte alle Province, si è gridato, senza troppo preoccuparsi del dopo. Le stesse Comunità montane sono state via via ridotte al coma, nonostante fossero state pensate per sostituire i piccoli Comuni membri, problema di oggi già recepito quarant’anni fa.

Adesso si affacciano sommessi i primi ripensamenti. Ci si accorge solo ora che sono le Regioni a necessitare di un deciso ridisegno territoriale e funzionale. In Francia ci si è mossi su questa linea mentre da noi la riforma Delrio finisce per addossare nuove competenze a chi ha mostrato di non saper gestire a dovere le proprie.

E l’invenzione dei nuovi «enti di vasta area», assimilabili talora a Province riformate, rischia di erigere un monumento all’aria fritta mortificando di proposito il problema numero uno, ossia il malgoverno regionale, vero fortino finanziario della aborrita partitocrazia. Basta verificare la sequela di improbabili consulenze elargite con cifre a quattro zeri ai sodali della giunta.

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