Pubblico impiego
Se vince l’impunità

Una mucca da mungere: ecco cosa è lo Stato per alcuni nostri connazionali. Due casi alla ribalta della cronaca evidenziano la gravità del degrado in amministrazioni pubbliche del Meridione. In un Comune del Messinese quasi la metà dei dipendenti è stata sospesa dal servizio con l’accusa di truffa aggravata e continuata a danno dell’ente nel quale lavoravano. O, meglio, facevano finta di lavorare, perché la loro principale occupazione era assentarsi per sbrigare gli affari propri o per andare a spasso.

Il poco edificante record all’impiegata responsabile della «trasparenza e anticorruzione» (mai compito le doveva risultare più ingrato e scomodo): 260 assenze ingiustificate in due mesi, una media di più di cinque al giorno. Stupefacente l’autodifesa di uno degli impiegati infedeli, il quale ammettendo che il vergognoso andazzo era una consuetudine, lo giustificava così: «Ognuno agisce per coscienza personale». Un capolavoro verbale degno della migliore letteratura dell’assurdo.

Altrettanto clamorosa la vicenda denunciata dal presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci. L’aspetto che più ha destato clamore è il numero incredibile di dipendenti regionali che usufruiscono dei benefici di una legge (la 104 del 1992 ) nata per tutelare, nel settore pubblico e nelle aziende private, i dipendenti con grave disabilità e i familiari di persone affette da handicap grave. Nella ridente isola 2.350 dipendenti regionali su 13 mila - quasi uno su cinque - sono gravemente disabili o hanno un familiare con handicap. Cifre e percentuali da rabbrividire, se corrispondessero alla realtà. Di fatto, è praticamente certo che alla base di tale situazione si celino connivenze con medici e dirigenti pubblici che hanno l’onere di certificare e/o controllare che le dichiarazioni di invalidità siano veritiere. Ma c’è di più. Un risvolto che si potrebbe definire umoristico, se non fosse incivile. Alcuni astuti impiegati della Regione – per godere impunemente di permessi retribuiti - hanno pensato bene di farsi adottare legalmente da persone bisognose di assistenza domiciliare. Un colpo di genio. Anche in questo caso l’aspetto giuridico (penalmente rilevante o meno) impallidisce rispetto alla miseria umana che emerge dal bieco trucchetto escogitato a danno dell’amministrazione.

La storia delle storture nell’amministrazione regionale siciliana si colora anche di altre nefandezze: 2.600 dipendenti sono dirigenti sindacali (più di un quinto del totale), e ciò implica l’impossibilità di spostarli di ufficio senza il loro consenso. Ne consegue l’enorme difficoltà di garantire la copertura dei servizi sulla base delle esigenze dei cittadini e non delle pretese dei dipendenti. Un’anomalia inconcepibile, nata e sviluppatasi in un clima di collusione tra vertici della Regione e organizzazioni sindacali.

Dalle due vicende si possono trarre alcune considerazioni. L’impiego pubblico viene vissuto da alcuni non come un lavoro da compiere con diligenza e onestà, bensì come una sorta di diritto acquisito. L’idea che essere pubblici dipendenti implichi obblighi di servizio sembra essere sconosciuta ai protagonisti dei fatti venuti all’onore della cronaca. Ciò che preoccupa è il clima di impunità che aleggia sui comportamenti contrari alle regole e alla morale civile. Non meno preoccupa l’esistenza di connivenze all’interno degli apparati pubblici, poiché le assenze continue, così come le finte situazioni di disagio familiare, non potevano non essere sotto gli occhi di tutti. Di fronte all’esistenza di tali storture è il presupposto della legalità stessa dell’attività delle amministrazioni pubbliche a saltare per aria. Il voto del 4 marzo scorso ha segnalato la crescente insofferenza verso i privilegi di quella che viene definita «casta». È un dato obiettivo dal quale la società non può prescindere. Altrettanta attenzione andrebbe posta ai fenomeni di degrado e di scollamento etico che emergono tra la «gente». Soprattutto quando si tratta di dipendenti di istituzioni pubbliche per i quali dovrebbe vigere il dovere – sancito dall’articolo 98 della nostra Costituzione - di essere «al servizio esclusivo della Nazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA