Pubblico o privato?
Il nodo sono le regole

Sulla tragedia di Genova – chiuse le bare e seppelliti i morti, non senza dolorose polemiche – cominciano a moltiplicarsi gli interrogativi (perché è accaduto? come è stato possibile?) e, nel contempo, a emergere i dubbi sulle scelte da compiere (cosa e come fare). Alla definizione di un piano generale di monitoraggio sulle grandi infrastrutture deve accompagnarsi una scelta che risolva il nodo della gestione del settore autostradale. Mentre prosegue il tentativo – in verità, piuttosto problematico e irto di incognite - di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia, si accende il dibattito sull’ipotesi di «nazionalizzare» l’Anas, restituendole la gestione della rete.

In merito, occorre sgomberare preliminarmente il campo dalla contrapposizione secca: nazionalizzazione sì/no. Come sempre, è più opportuno allargare lo sguardo, esaminando il caso autostrade nel generale contesto del ruolo dei poteri pubblici nelle società contemporanee. Nei primi sette decenni del Novecento nelle democrazie occidentali si è assistito al progressivo allargamento dell’intervento pubblico. In Italia, in particolare, la nazionalizzazione delle Ferrovie (1905) segnò l’esordio di quello che fu definito lo Stato «imprenditore». Negli anni ’30 iniziò un massiccio impegno dello Stato nella gestione di attività economiche, estesosi a dismisura anche nei primi decenni repubblicani. Giova ricordare, in proposito, che l’emblema di tale processo fu l’Iri, nato nel 1933 per operare il salvataggio di aziende industriali in crisi. Interessi pubblici e interessi privati si sono sempre più strettamente intrecciati, provocando un’elefantiasi delle gestioni pubbliche in settori industriali anche non strategici (nell’immaginario pubblico: lo Stato che fabbrica panettoni).Il fenomeno subì una secca inversione di tendenza a partire dal 1992, allorché la crisi finanziaria, collegata alla dimensione gigantesca del debito pubblico, spinse i governi a una progressiva dismissione delle aziende in mano pubblica, mediante la privatizzazione e /o la vendita ai privati. Gli esiti non sono stati nel complesso molto brillanti perché alla ritirata strategica dello Stato dalle gestioni dirette non è seguito il rafforzamento della funzione di regolazione.

È quasi pleonastico osservare che l’abbandono del monopolio pubblico avrebbe potuto avere risultati positivi, sia sul piano dell’efficienza dei servizi, sia sul piano delle tariffe per gli utenti, soltanto a patto che vi fossero autorità di regolazione e controllo in grado di evitare che la privatizzazione delle gestioni si risolvesse in un danno per i cittadini/utenti. Di fatto, questo secondo tassello si è rivelato debole e, in alcuni casi, del tutto insussistente. Al riguardo proprio il settore dei trasporti ha vissuto la vicenda più paradossale. L’autorità di vigilanza sui trasporti fu istituita per opera del governo Monti nel dicembre 2011, ben sedici anni dopo quelle per le telecomunicazioni e per l’energia. Un ritardo che segnalava, di per sé, il potente grumo di interessi contrari all’azione regolatoria dello Stato in un settore ad alta redditività di profitto per i gestori. All’autorità, peraltro, non poteva svolgere l’azione di regolazione nei confronti dei soggetti che avessero in atto concessioni dallo Stato. Tra queste vi è Autostrade per l’Italia. Al di là di queste storture normative rimane il bisogno di un’azione – che soltanto lo Stato può compiere – di salvaguardia dell’interesse generale sia attraverso la potestà di definire le regole delle concessioni di attività di pubblico servizio ai privati, sia mediante l’esercizio di mirati ed efficaci controlli sull’operato del gestore. Su questo terreno le falle più grosse si sono registrate nell’attività di controllo e vigilanza spettanti al ministero delle Infrastrutture. Tali manchevolezze hanno favorito nell’arco del tempo il diffondersi di una progressiva diffidenza nei confronti dello Stato. L’illusione della bontà autoregolativa del mercato ha prevalso, producendo scelte politiche dei governi più propense a dare spazio agli interessi privati, piuttosto che attente a garantire gli utenti dei servizi pubblici. Su questo aspetto la riflessione più amara e acuta si deve a un protagonista della vita italiana degli ultimi decenni, Piero Bassetti, il quale è solito ammonire che il mercato senza regole diventa come il far west.

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