Quei maleducati globalizzati
del turismo di massa

Chi arriva a Roma in piazza di Spagna capisce cosa vuol dire turismo di massa. Tutti i gradini che salgono a Villa Borghese occupati da scamiciate masse che bivaccano su nobili scale. Colpiscono l’atteggiamento irrispettoso, l’abitudine a trattare anche la storia con il metro che si riserva all’usa e getta. Consumata la seduta restano gli avanzi : bottiglie, lattine, cartacce, cartoni per la pizza.

La globalizzazione sposta migliaia di soggetti ma poi li lascia soli nella sfida dei nostri tempi: vivere la diversità e mantenere il decoro. La storia di Roma, la storia d’Italia è la storia del bello. Lasciarlo in mano a masse informi vuol dire votarlo all’usura, al danneggiamento, all’incuria. Questa è una responsabilità che ricade soprattutto su chi questi luoghi li abita e quindi sugli italiani. Il patrimonio di ricchezza culturale, storica, estetica non si può lasciare in pasto a chi ne fa un uso consumistico, livellante. Vuol dire abdicare allo spirito stesso dell’arte, che è differenza, varietà, identità. L’omologazione dei costumi che segue alla società di massa e alla sua globalizzazione genera bisogni spirituali. La nostra è un’epoca che si esaurisce nella proiezione tecnica ed al contempo impoverisce la dimensione umana. Da qui la ricerca dell’uomo moderno di valori che vadano oltre.

L’arte è una risposta. La religione anche. E questo spiega il favore che l’apostolato di Papa Francesco trova anche tra i non cattolici. L’Italia, che è la depositaria delle massime espressioni dell’arte occidentale, può dare una risposta laica alle ansie del tempo. Non solo rendendo possibile l’accesso ai suoi tesori ma indirizzandone le modalità di approccio. L’Italia è un museo a cielo aperto e non si va in un museo come se si andasse ad una partita di calcio. L’arte ha una sua dimensione di sacralità che richiede attenzione e va rispettata; richiede lentezza, ama il poco ma intenso, rifugge dal molto e dal confuso. Proprio il contrario dei nostri tempi che bruciano tutto nella velocità del consumo. Occorre far un’operazione che concili le esigenze del tempo con la preservazione dell’identità. In Baviera sono riusciti a mantenere i calzoni corti di cuoio e il pennacchio sul cappello uniti ad uno sviluppo tecnologico che non ha eguali in Europa. Quindi non è vero che ci si debba piegare allo spirito del tempo senza porre condizioni. E le condizioni per un Paese d’arte sono la preservazione dei suoi valori, il rifiuto di farne merce di scambio.

Le basi su cui costruire il futuro del Paese sono qui. Il vantaggio economico che viene dal turismo va coniugato con l’iniziazione al bello. Le masse che popolano il pianeta in viaggio lo cercano anche se spesso non lo conoscono. Regolare gli afflussi è fondamentale per gli equilibri delle città italiane. Si pensi a Venezia che è sommersa da ondate di visitatori che turbano nella loro sregolatezza la precarietà del suo ecosistema. Stabilire l’accesso attraverso la prenotazione elettronica ha due vantaggi: dà identità al visitatore – e in tempi di terrorismo si sa quanto sia utile per la prevenzione – e rende l’accesso alle città d’arte meno caotico. Il Cenacolo leonardesco a Milano è visitabile da tutti, ma ci vuole la prenotazione per limitare il numero degli ospiti altrimenti il dipinto si deteriora.

Questo rende l’opera d’arte ancor più ambita appunto perché più difficile da ottenere è la sua visione dal vero. Attendere fa bene perché educa al rispetto. Lo sanno i capi che regolarmente fanno aspettare i loro ospiti quando vogliono metterli in soggezione. Per l’arte vale lo stesso e il ritorno è garantito perché in tempi di quantità l’Italia è uno dei pochi Paesi che offre qualità. Quella della vita.

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