Quel corpo santo
per fare memoria

Dal 24 maggio al 10 giugno le spoglie mortali di san Giovanni XXIII torneranno a Bergamo e a Sotto il Monte. Faranno tappa anche presso alcuni luoghi a lui particolarmente cari: la cattedrale, il seminario e l’ospedale a lui intitolati, il carcere, il santuario della Cornabusa e il convento francescano di Baccanello. La complessa macchina organizzativa si è messa in moto: l’evento comporta anche delicati aspetti logistici che coinvolgono non solo diocesi e parrocchie, ma anche diverse istituzioni civili.

Basti pensare alla gestione del traffico o alla garanzia della sicurezza e dell’ordine pubblico.Prima che si avvii il vortice frenetico dei programmi e la sarabanda mediatica, vale la pena riflettere con calma sul senso di questa iniziativa. Perché investire tante energie e denari per onorare un «corpo morto», seppure «santo»? Quali frutti spirituali si possono sperare per la comunità cristiana e, più in generale, per la terra bergamasca? Che cosa trasmette questo «segno» agli uomini e alle donne di oggi, immersi in una mentalità dove i problemi e gli interessi che dettano l’agenda sono ben altri rispetto a quelli religiosi? Ai giovani, la Chiesa non ha niente di meglio da offrire? Interrogativi legittimi, perfino necessari. E comunque non banali.

Quel «corpo santo» non è semplicemente un cadavere. Venerando le reliquie dei martiri e dei santi, fin dall’inizio la Chiesa ha espresso valori fondamentali della fede cristiana: la centralità del mistero dell’Incarnazione, la comunione dei Santi che si spinge oltre la morte, il valore del corpo umano. Dio si è fatto carne, la salvezza è passata attraverso un corpo, quello di Gesù. Onorando un santo nella sua corporeità, il cristiano afferma che la santità riguarda l’intera persona, compreso il suo corpo: non c’è vita spirituale né santità che possano realizzarsi al di fuori o senza un corpo. Con il suo agire, sentire e patire, il corpo non è soltanto uno «strumento» dell’anima o dello spirito, ma il «coprotagonista» della salvezza. Certo, in questa forma di religiosità non sono mancati abusi, anche gravi. Per esempio, Lutero denunciava il business e la falsificazione delle reliquie, il loro uso superstizioso. Oggi il pericolo consiste nel favorire una religiosità che si appaga di forme tutte esteriori, punta a farne uno spettacolo che attira sì folle di devoti, ma tralascia di «evangelizzarli».

Il passaggio del corpo santo di Papa Giovanni nelle terre della sua infanzia e giovinezza promette di essere una straordinaria dimostrazione di pietà popolare, dove il linguaggio dei sensi, i segni visibili e i gesti concreti assumono un ruolo speciale nel dare espressione alla fede. Ma perché l’avvenimento favorisca una vera adesione di fede e una solida maturità spirituale, ci vuole anche altro. Senza uno sforzo serio di approfondimento, queste manifestazioni di popolo rischiano di illudere: inducono a credere che siamo di fronte a un «ritorno del sacro», che il processo di secolarizzazione si possa scongiurare con la riesumazione di riti e linguaggi antichi. Se la religiosità popolare fosse vissuta così, come «rifugio» securizzante, sarebbe un guscio vuoto, fuoco fatuo, emozione sterile. Essa invece costituisce per la Chiesa un dono prezioso, ma anche un compito: può risvegliare il sentimento religioso dei fedeli e diventare un’importante via di evangelizzazione, ma solo a condizione che sia preparata, accompagnata e seguita da un lavoro pastorale adeguato.

L’avvenimento offre una bella opportunità per fare memoria delle origini di Papa Roncalli, per richiamare quanto profondo sia stato l’influsso che la famiglia, la parrocchia e la diocesi hanno esercitato su di lui. Ma sarebbe un grave errore interpretare questo evento in chiave di orgoglio campanilistico: san Giovanni XXIII e il suo ricco insegnamento appartengono ormai alla Chiesa universale e al mondo intero. Bergamo accoglie con gioia le spoglie del suo figlio prediletto e vuole far parlare quelle «ossa», far udire forte quella voce, aiutare le nuove generazioni a scoprire e apprezzare sempre di più il magistero di un santo capace di offrire ancora stimoli formidabili ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà del III millennio.

*Direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII

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