Ragazze schiave
e nuovo sinedrio

Quante sono e chi sono le persone che abbiamo crocefisso «per i nostri usi e consumi?». È questa la domanda potente che al sorgere della notte del Venerdì Santo, oggi, suor Eugenia Bonetti inchioda davanti a noi tutti nelle meditazioni della Via Crucis al Colosseo che Papa Francesco le ha affidato.

Suor Eugenia Bonetti è una missionaria della Consolata e da anni coordina la rete internazionale di «Talitha Kum», che è un’ espressione in aramaico del Vangelo di Marco. Significa «Fanciulla, alzati», parole di Gesù alla figlia di Giairo resuscitata, ma anche parole assurte a simbolo di riscatto per chi viene deturpato nel corpo dalle leggi di uomini e donne spietati. La rete «Talitha kum» salva ragazze sfruttate, schiave della sessualità malata, comprate, vendute, usate e gettate ai margini delle strade delle nostre città.

Persone che vediamo ogni giorno, immolate e crocefisse dalla miseria tragica di passioni stravolte. Prostitute le chiamiamo mentre ci chiamiamo fuori dal loro dramma, a volte indugiando con ironia sul più antico mestiere del mondo. Così ci assolviamo nel marasma quotidiano di una società che digerisce tutto con dosi monumentali di cinismo, invece di capire che a chi non passa per la mente di essere anche lui parte della soluzione è inevitabilmente parte del problema.

Non solo l’odio impone il suo ritmo, ma anche l’oblio, la distrazione, il silenzio, il fastidio di ascoltare storie drammatiche che turbano per disgusto. Sembra che tutto possa essere risolto con un muro alzato e con i porti chiusi a doppia mandata e con la promessa di chi fa balenare miraggi e garantisce che alcun calvario da scalare si opporrà al nostro benessere, una volta risolto l’impiccio dello scontro di civiltà. È il sogno di chi blinda le appartenenze, di chi spegne bontà, di chi alimenta il braciere sanguinoso del mondo rigettando l’idea che confronto, comparazione e dialogo siano esercizi utili. Per molti il Venerdì Santo è una seccatura e giammai tirerebbe fuori un fazzoletto per asciugare lacrime, sangue e polvere. La Veronica non va di moda. Figuriamoci poi accettare di dare una mano a portare la croce.

Neppure è più d’uso quell’espressione «poveri cristi» che almeno accompagnava con gesto lieve e motto commovente la parte dolente dell’umanità. Le lacrime non velano più gli occhi davanti alla crudeltà, attenti solo alla nostra salute e a tenere lontano ciò che sporca e puzza. Questa sera una suora ottantenne che ne ha visto di mondo e di dolore ci porterà per mano sui calvari di oggi tra le agonie e la follia della ragion di Stato, quella stessa che ha fatto decidere a Pilato la sorte di Gesù. Ma ci metterà anche davanti alle nostre responsabilità, al potere che abbiamo di decidere e di giudicare, noi il nuovo Sinedrio, noi che con impassibile e sprezzante volontà, in una sorta di consociativismo politico e giuridico dove tutto va attutito, distogliamo lo sguardo dalla croce. Spiegherà suor Eugenia nella meditazione della XI stazione: «”Gesù è inchiodato alla croce”: “La nostra società proclama l’uguaglianza in diritti e dignità di tutti gli esseri umani. Ma pratica e tollera la diseguaglianza. Ne accetta perfino le forme più estreme. Uomini, donne e bambini sono comprati e venduti come schiavi dai nuovi mercanti di esseri umani. E infine gettate via, come merce senza valore. Quanti si fanno ricchi divorando la carne dei poveri!». Il Venerdì Santo turba perché non sopportiamo l’ansia della lotta sorda tra il bene il male che non si consuma sulla scena del mondo, ma dentro ognuno di noi se appena appena accettassimo di fare i conti con l’idea di fratellanza, aiutare a portare la croce e asciugare qualche volto.

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