Renzi apre una crisi
lontana dai problemi
degli italiani: gli sviluppi

E così, alla fine, è davvero scoppiata la seconda crisi più pazza del mondo (la prima fu quella del Papeete). Proprio nelle ore in cui il ministro della Salute Roberto Speranza spiegava in Parlamento che stiamo per entrare in una nuova fase acuta della pandemia e che ci aspetta un periodo assai duro da affrontare con altri sacrifici, il Palazzo per mano di Matteo Renzi ha celebrato un rito che mai era stato tanto incomprensibile, inspiegabile e inspiegato, opaco nelle motivazioni e nelle finalità. In ogni caso, lontanissimo dalle preoccupazioni degli italiani ai quali tuttavia così viene meno quella parvenza di sicurezza che un governo in carica decentemente sostenuto da una maggioranza riesce a dare anche, per dire, sotto il profilo psicologico.

E che di questo punto di riferimento ci sia stato e ci sia tuttora un gran bisogno lo dimostrano gli indici di popolarità di Giuseppe Conte che restano assai alti nonostante le inevitabili contraddizioni, le insicurezze, le incoerenze e la confusione dell’azione di governo chiamato - questo va pur detto - ad affrontare una crisi del tutto eccezionale e a cui nessun governante al mondo era preparato.

In tutto ciò, Matteo Renzi ha deciso di aprire una crisi ritirando le sue due ministre e accusando Conte di essere venuto meno al «metodo democratico». L’esplosione non è stata evitata neanche dagli interventi discreti che sono stati tentati dal Quirinale e di cui è prova l’impegno della stessa Italia Viva a non contrastare l’approvazione in Consiglio dei ministri sia del nuovo Recovery Plan (nuovo per merito delle critiche di Renzi, e questo va riconosciuto) sia dell’ennesimo decreto ristori con scostamento di Bilancio, sia delle ulteriori restrizioni sanitarie dovute all’andamento della pandemia. Mattarella ha ottenuto che, crisi o non crisi, questi provvedimenti venissero comunque messi in sicurezza, ma altro - almeno per il momento - non è riuscito a fare, né francamente avrebbe potuto fare.

E adesso? Adesso non si sa. Naturalmente gli esegeti stanno esaminando le parole di Renzi in conferenza stampa per capire se vi siano margini di trattativa. Pare che ci siano. E allo stesso tempo si analizza ogni virgola delle dichiarazioni di Conte sul «patto di maggioranza» da ricostruire da qui alla fine della legislatura. Insomma, tutta materia per i pontieri, i mediatori, quelli che proveranno a ricucire e a rimettere dritta la barca pericolosamente inclinata proprio nel bel mezzo della tempesta. Dopodiché però chi conosce le crisi di governo ammonisce che si sa come cominciano ma non si sa come finiscono. Tanto per cominciare dalla testa: rimarrà Conte a Palazzo Chigi? Era questo l’obiettivo principale di Renzi: cacciare il premier. Ma, a differenza di quanto sembrava sulle prime, il capo di Italia Viva non ha ricevuto il sostegno tacito di Zingaretti e di Di Maio, notoriamente insofferenti del presenzialismo e anche della tendenza al rinvio dell’«avvocato del popolo». E ora?

Altra questione. Se Conte deciderà di sfidare Renzi aprendo la conta della maggioranza nell’aula del Senato, ci saranno i voti dei cosiddetti «responsabili» a soccorrerlo e a sostituire i senatori renziani? Non lo sappiamo, vediamo solo quell’antico reperto politico di Clemente Mastella che si gode un ritrovato momento di popolarità e si atteggia a «regista» di una possibile diversa maggioranza. Chissà.

Avremo insomma molte puntate da scrivere nei prossimi giorni per cercare di raccontare gli arzigogoli della politica. Nulla come in questa circostanza ci sembrerà più lontano dalla vita degli italiani. E tuttavia gli italiani di un governo hanno comunque bisogno.

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