Ricucire la coesione
tra cittadini e istituzioni

Bisogna resistere alla tentazione di dare, del referendum costituzionale, una lettura tutta interna al sistema partitico. Come se il suo effetto preminente fosse, in fondo, oltre alla crisi del Governo nazionale, quello di provocare uno spostamento di voti da un partito all’altro. Sarebbe davvero un orizzonte limitativo che confermerebbe, anche dal lato dei «vincitori», il vizio della classe politica di leggere tutti gli eventi in chiave di equilibri di potere. Io non credo che i cittadini abbiano risposto al quesito referendario con questo intento. È innegabile che nelle motivazioni di voto abbiano inciso fattori diversi, tra cui la contrapposizione partitica. Ma l’affluenza record e l’oggetto referendario inducono a leggervi dell’altro, che ha spinto molti cittadini, anche tra quelli che ormai disertano le urne, a partecipare e quasi a mandare un segnale estremo.

I cittadini hanno compreso che valeva la pena partecipare: ne abbiamo avuto conferma dai molteplici incontri informativi, spesso insolitamente vivi e affollati, sul territorio e poi, inequivocabilmente, dalla percentuale di votanti. Questo dato è già significativo, forse il più significativo: nonostante cioè un tentativo, diffuso e non innocente, di «dissacrare» e relativizzare la Costituzione, i cittadini continuano a vedervi qualcosa di prezioso, sui cui cambiamenti è bene essere avvertiti e prudenti. Il portato più benefico dell’esito referendario è, per me, esattamente questo: che le forze politiche (tutte!) sanno ormai, se ancora non l’avessero interiorizzato come ideale, che la Costituzione è un bene comune, con il quale non si possono tentare avventure, e che ogni sua riforma dev’essere adeguatamente condivisa, non solo tra le forze al potere. Ma l’affluenza record può avere, a mio avviso, un significato ulteriore, che attiene alla qualità della democrazia del nostro Paese. Vi leggo la disaffezione, fattasi ribellione, per una democrazia svuotata, ridotta a guscio istituzionale, perché si fatica ad avvertirne le connessioni di senso con la dura quotidianità sociale ed economica della persone; forse anche la stanchezza per una democrazia ridotta a teatro di leadership che si succedono e si bruciano sempre più in fretta, una dietro l’altra.

Da questa prospettiva, l’insegnamento che traggo da questo referendum è la necessità impellente di un lavoro, a diversi livelli, di consolidamento di base, di ricucitura della coesione sociale e del legame di senso tra la cittadinanza e le sue istituzioni. Per salvarsi, la democrazia e le sue istituzioni devono tornare a esprimere un senso per la quotidianità della vita dei cittadini, ad accogliere la loro partecipazione, non solo al momento del voto, bensì sotto forma, ben più feriale, di contributo sociale ed economico alla costruzione della convivenza. La democrazia fondata sul lavoro, cui miravano i nostri costituenti, aveva proprio questo obiettivo di una compenetrazione stretta tra le forme della vita, sociale ed economica, e l’organizzazione politico-istituzionale della convivenza. Questo è l’impegno, assai gravoso, a cui dedicarsi: ridare senso partecipativo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, centralità e dignità al lavoro. Fondamentali sono le autonomie locali, che sono luoghi ancora vitali, in cui i cittadini possono sperimentare una cura civica attiva.

Decisiva è un’alleanza, non strumentale, tra istituzioni e formazioni sociali, queste ultime chiamate a un delicatissimo compito di ri-radicamento sociale. E se fosse questo il tempo, ad esempio, per l’attuazione dell’art. 39 sulla democraticità dei sindacati? E bisogna rimettere al centro il tema e il sogno dell’Europa federale (e di un popolo europeo), che sola può ricondurre entro un governo democratico le forze distruttive e predatrici della speculazione finanziaria, del degrado ambientale, dello sfruttamento del lavoro. Utopie? È forse più realistico confidare ancora in una “nuova” e salvifica leadership nazionale? C’è una forza insospettabile, come osservava la Weil, racchiusa nell’infinitamente piccolo e cioè nella capacità della partecipazione e dei legami di prendersi cura dell’umano e, in questo modo, di ridare sostanza alla democrazia.

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