Ridiamo dignità
ai nostri giovani

È una conferma amara quella che emerge dal rapporto sulle povertà della Caritas: essere giovani in Italia è cosa molto complicata. E continua ad esserlo nonostante i segnali positivi di un allentamento della crisi. Tra i tanti dati presentati nel Rapporto ce n’è uno che fotografa in modo implacabile la situazione: in Italia oggi la metà di chi viene considerato dagli esperti in condizione di «povertà assoluta» ha un’età tra 0 e 34 anni. In numeri assoluti si tratta di 2,309 milioni di persone. Se stringiamo l’analisi alla fascia tra 18 e 34 anni scopriamo che i ragazzi in povertà assoluta dal 2007 ad oggi sono quintuplicati, mentre tra gli ultra 65enni questa percentuale nello stesso arco di tempo è calata. Oltre a questi fattori, ce n’è un altro da tener presente: che i giovani sono numericamente sempre meno, per via del declino demografico. Per questo ha avuto ragione il segretario della Cei Nunzio Galantino a parlare di «una povertà straordinaria e straordinariamente negativa», in quanto è una povertà nel presente che però è destinata a incidere pesantemente sul futuro dell’Italia.

Il rapporto della Caritas fa notizia per questi dati. Ma sarebbe bello che facesse notizia anche per la sezione finale. È lì che vengono avanzate delle proposte per evitare che il dibattito resti sempre al livello amaro delle constatazioni statistiche. Se è vero che la situazione di troppi giovani è «straordinariamente negativa» è anche vero che sarebbe un’ulteriore irresponsabilità quella di rifugiarsi nel fatalismo. La terza sezione è stata giustamente titolata «le attese» e per questo rappresenta una giusta riapertura a quel futuro che i numeri del presente sembrano precludere.

Non servono bacchette magiche, ed è inutile illudersi che esistano misure miracolistiche. Si pensa che il problema primo sia il lavoro. Invece il lavoro è un esito di un protagonismo sociale tutto da favorire e costruire. Ai giovani non serve un ufficio di collocamento, servono strumenti e opportunità per diventare un «capitale umano» compiuto. Ad esempio il servizio civile, per tanti anni bistrattato, è stato ed è uno di questi strumenti. È una strada con la quale si è facilitati e stimolati ad uscire dal guscio e a misurarsi con la realtà. A volte il servizio civile si è anche tradotto in una sorta di tirocinio che poi si è tradotto in lavoro: ma non è giusto misurarne il valore solo sulla base di questi esiti. Il suo valore è un altro, e sta nella maturazione sociale e umana dei ragazzi che lo fanno. L’alternativa scuola lavoro introdotta dalla riforma del Governo Renzi è un’altra opportunità potenziale, sulla quale si è invece abbattuta una narrazione tutta negativa, all’insegna di quel fatalismo di cui si diceva. Invece bisogna avere il coraggio, e a volte anche la sfrontatezza, di ribaltare la narrazione e dimostrare che l’alternativa scuola lavoro in tanti casi si è rivelata un processo eccellente capace di arricchire veramente chi lo percorre.

Anche per quanto riguarda i numeri bisogna avere il coraggio di diversificare la narrazione. Per esempio nei primi sei mesi del 2017 a Milano i giovani che sono entrati nelle imprese artigiane, sono quasi raddoppiati rispetto ai dati del 2014. Un trend interessante perché dettato dal mercato e perché fa capire come nelle nuove generazioni stia crescendo una predisposizione ad esempio verso tutti i lavori di «cura», che sono lavori che massimamente implicano una coscienza sociale. La strada del futuro possibile è lastricata di tanti di questi piccoli segnali.

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