Riforma strutturale delle pensioni
in un clima elettorale

L’argomento è serio, ma i toni sono spesso da campagna elettorale. Quanto si sente dire oggi sulle pensioni sembra più avere a che fare con i conti interni alla sinistra, fra il Pd e alleati da una parte, Mdp e soci dall’altro, che con la previdenza. Proviamo quindi a guardare il tema cercando di discernere tra ragionamenti e toni da comizi. Si sta parlando del prossimo scatto della riforma Fornero (quella fatta nel 2011 quando i conti pubblici erano in una situazione disperata anche al netto delle polemiche, spesso pretestuose, sulle manine e le manone che avrebbero agito sullo spread) che dal primo gennaio 2019 porterà l’asticella a 67 anni dai 66 e 7 mesi attuali.

Per tutti? Togliamo almeno i lavori usuranti, hanno chiesto i sindacati uniti. A partire da ciò è iniziata una trattativa con il governo che ha proposto di eliminare lo scatto ad una platea di lavoratori che operano in settori usuranti. La Cgil è salita sulle barricate chiedendo il riconoscimento per tutti i lavoratori usuranti. Anche perché, sostiene la Cgil, se allarghiamo la quota dei lavoratori che allungano nel tempo la loro uscita dal mondo del lavoro, i giovani quando trovano un posto? Il ragionamento, nel migliore dei mondi possibili, non farebbe una piega. Il problema è che non siamo nel migliore dei mondi possibili. Malgrado i passi avanti per tornare verso una situazione di adeguata crescita economica, il nostro Paese ha ancora conti pubblici da risanare, in particolare per quanto riguarda il debito. E se si dovesse frenare l’attuale ripresina i primi a subirne le conseguenze sarebbero proprio i giovani, ha ribattuto al sindacato della Camusso il ministro Padoan, in un’intervista. È questa la ragione forte dell’esecutivo che ha convinto gli altri due sindacati confederali, la Cisl e la Uil, ad accettare la proposta del governo. La riforma Fornero ha posto i nostri conti previdenziali in un regime di sicurezza, facendo in modo che non vadano a generare altro debito pubblico. Bloccare ora l’attuazione di quella riforma, già sottoposta alle statistiche sull’effettivo allungamento della vita media, vorrebbe dire tornare subito in una situazione finanziariamente precaria.

Ma il clima, come dicevamo, è ormai quello da campagna elettorale. C’è anche chi ha detto che per finanziare l’estensione del plafond di lavoratori da far andare in pensione per tutti gli impieghi usuranti si potrebbe rinunciare all’acquisto di qualche costoso caccia militare. Siamo alle solite: una riforma pensionistica è una riforma strutturale. Cioè ogni intervento che viene fatto ha effetti non solo sull’anno in corso, ma anche su tutti quelli seguenti. Il taglio di una spesa una tantum invece incide solo sul bilancio corrente non anche su quelli successivi. Ma la campagna elettorale si fa sempre più vicina: lo scioglimento delle Camere potrebbe avvenire a gennaio, passate le feste. Non è il caso quindi di andare tanto per il sottile e a salire sulle barricate sono gli estremisti di entrambe le posizioni. Intanto il nodo pensioni si aggroviglia intorno alla legge di bilancio che deve essere approvata prima delle feste natalizie e comunque entro la fine dell’anno. Attorno a questa fondamentale legge per il nostro futuro bisognerebbe potere creare una moratoria, un disarmo bilaterale. Portarla in porto permettendo al Paese di raccogliere i frutti della ripresa (che per quest’anno potrebbe voler dire una crescita anche superiore all’1,5% previsto, come ha detto sempre Padoan) permetterà poi a tutti di fare proposte realistiche e a lungo termine per la prossima legislatura, evitando di ragionare sempre in clima di emergenza. Anche questo sarebbe un modo per fare campagna elettorale, sui contenuti invece che sugli slogan.

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