Royal baby e Alfie
Gioia e lacrime

Un cavillo, un ragionamento sottile, quasi furbesco, al limite dell’inganno. È ciò che ha permesso ieri mattina di salvare la vita ad Alfie quando ormai si era alla fine della corsa. Il respiratore che lo tiene in vita doveva essere staccato, ma dopo qualche minuto era ancora lì che funzionava. Ma come, ha osato dire il padre Tom, non dovevate ucciderlo? Perché non lo avete fatto? Perché non avete rispettato la sentenza del giudice? Adesso siete in torto, adesso siete voi a non aver fatto il vostro dovere. E ha chiesto un nuovo pronunciamento. Il piccolo Alfie si è salvato per un cavillo, mentre i sudditi di Sua Maestà impazzivano di gioia per il nuovo «royal baby». Londra e Liverpool.

Chi nasce e chi muore e solo per un arzigogolo riesce a sfangarla. Adesso la partita si complica, ma almeno c’è un risultato. Alfie è vivo, come il royal baby. San Giorgio, patrono degli inglesi, ha fatto il miracolo, ieri giorno in cui lo si festeggia. Kate e William erano raggianti a Londra. Kate e Thomas avevano le lacrime agli occhi a Liverpool. Perché questa è una brutta storia. Forse Alfie morirà di «diritto», forse Alfie morirà per via di quella sua malattia sconosciuta. Forse ad Alfie non servirà che il ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, e il ministro degli Interni italiano Marco Minniti con un decreto sovrano gli hanno concesso la cittadinanza italiana all’ultimo minuto.

Nell’era dei diritti uno che non è utile deve morire? Quanti Alfie ci sono nel mondo? E quando finalmente il mondo comincerà a riflettere su di loro, senza l’affanno che tutto fa scivolare in un conflitto ideologico? Il Bambino Gesù da mesi aveva deciso di occuparsi di Alfie, senza rumore, senza postare nulla sui social, insistendo sulla ragionevolezza, convinti nell’ospedale del Papa, che nessuna pubblica sentenza potesse negare almeno cure palliative. Ci sono migliaia e migliaia di bambini nel mondo nelle condizioni di Alfie. Accade perché ci sono malattie di cui non sappiamo nulla, malattie orfane di cure e di diagnosi, ma non per questo malattie di fronte alle quali alzare la bandiera bianca. È accaduto sempre così. Malattie sconosciute sono poi diventate conosciute. La scienza non può arrendersi. Invece le sentenze inglesi hanno sbaragliato anche la scienza.

C’è una frase tremenda e agghiacciante in uno dei dispositivi che autorizzano l’ospedale a staccare la spina: «His life was futile». Come può una sentenza stabilire che una vita «è futile»? Sta qui il centro di tutta la questione, che apre una voragine di orrore. La legge può obbligare a morire? Eppure sono queste le regole di un Paese dove il giudice fa la legge e dove è lui che stabilisce perfino il perimetro dell’habeas corpus, cioè il principio che regola nell’ordinamento anglosassone, l’inviolabilità personale a cui ad un certo punto della vicenda si erano appellati i genitori di Alfie. Per una cultura giuridica diversa da quella inglese tutto ciò è difficile da capire. Ma non sono matti i giudici inglesi. Le sentenze sono meditate, ineccepibili e impeccabili dal punto di vista formale e procedurale. Ma lontane da un’etica della responsabilità come noi l’intendiamo e con cui ha a che fare ogni speranza, che non è affatto riposta in un miracolo, ma nella nostra responsabilità.

Cosa può accadere ora? La cittadinanza italiana servirà ad Alfie? Sarà difficile, a meno che la partita non diventi politica e diplomatica. Londra potrebbe decidere di assumere quella che si chiama «decisione discrezionale sovrana» e andare contro la sentenza dei giudici per evitare un contenzioso con un Paese amico. Ma non sarà facile allargare il cuore degli inglesi e piegare lo scettro della regina.

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