Salvini a valanga
Pd a rischio estinzione

Per il partito democratico è andata persino peggio delle più pessimistiche previsioni. Un crollo così fragoroso è qualcosa che dà una piega alla storia del centrosinistra italiano. Perdere le ultime «roccaforti» toscane (Siena, Pisa, Massa) e umbre (Terni) equivale a perdere la speranza che il marchio «Pd» possa ancora restare in piedi fino alle prossime consultazioni, le regionali, le europee dell’anno prossimo. Mantenere la guida di Ancona e Brescia è un premio di consolazione dovuto più alla qualità amministrativa dei sindaci uscenti che all’attrattiva politica del partito provvisoriamente retto da Maurizio Martina.

Che non riesce a scegliere la strada per inventarsi un futuro e dopo la sconfitta si divide ancora una volta sul da farsi. C’è chi come Carlo Calenda propone di rifare tutto da capo e di mettere in piedi un Fronte Repubblicano, e chi come i maggiorenti del partito si limitano a parlare di errori di comunicazione e a recriminare sulle lotte interne, convinti che si possa «ritrovare il popolo della sinistra», salvo magari leggere dai sondaggi che un tale popolo quasi non esiste più –basti guardare Terni, città operaia e comunista per eccellenza, dove la Lega è passata dallo zero al venticinque percento. La divisione tra «renziani» e «antirenziani» diventa persino surreale in questo panorama di macerie.

Nel frattempo la Lega vola. È Matteo Salvini il vero vincitore di queste amministrative. Chi aveva accolto con scetticismo quella rilevazione che dava per raddoppiati i voti leghisti in soli tre mesi, ha avuto la risposta delle urne. Il centrodestra non può sicuramente fare a meno del troncone moderato che si rifà a Forza Italia e a Silvio Berlusconi, ma il suo motore si chiama Salvini, e il suo messaggio arriva dritto dritto all’elettorato: più sicurezza, meno immigrati, muso duro con l’Europa che ignora i nostri problemi. Il ministro dell’Interno più informale della storia repubblicana più è coperto dalle critiche per la sua linea ruvida, più guadagna consensi e perciostesso conquista la centralità nel governo con i grillini. Se i giornali lo hanno dipinto come il vero premier, straripante rispetto all’«esecutore» Giuseppe Conte e all’alleato Luigi Di Maio, questo voto conferma che la Lega è il nuovo asse portante della politica italiana.

Tanto più significativo perché Salvini si incollò il Carroccio quando era con tutte le ruote a terra, travolto dalla questione morale e ai minimi storici elettorali. Ora il leader leghista non deve più neanche contendere la leadership di centrodestra: è di fatto lui il leader, e Berlusconi con il suo persistente silenzio in qualche modo avalla lo stato di fatto. Terzo elemento, i grillini. Che, per quanto mostrino ottimismo e soddisfazione davanti alle televisioni per la conquista di Imola e Avellino, sono entrati in pochissimi ballottaggi e hanno perso proprio laddove governavano, come a Ragusa: da una parte pagano un prezzo alto al protagonismo dell’alleato Lega, cui d’altra parte non riescono a contrapporre niente di altrettanto efficace; dall’altra soffrono per la mancanza di una classe dirigente locale e per la delusione per i risultati ottenuti. Non sarà un caso che nei due municipi romani dove si votava (e che da soli contano gli elettori di una decina di capoluoghi andati al voto) sono stati clamorosamente sconfitti dal Pd: è l’effetto Raggi al contrario. Se questo voto influenzi la stabilità del governo grillo-leghista è dubbio, per ora. Di sicuro contribuisce a spostarne il baricentro verso Salvini, allargando – non senza prevedibili reazioni - la sfera di influenza del ministro dell’Interno

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