Salvini guida
i dem sul Titanic

Il bello (il bello?) comincia solo ora con le consultazioni del Quirinale, mentre lo scontro diplomatico Roma-Parigi dopo il blitz dei gendarmi francesi a Bardonecchia sembra fatto apposta per indebolire il fronte europeista. Si inizia con il primo giro di ricognizione, ma si entrerà nel vivo con il secondo round. Gli scenari vanno e vengono e durano quanto un battito di ciglia. Si esce comunque dalla coda elettorale e si entra nella dimensione politico-istituzionale, perché la legge elettorale (in prevalenza proporzionale) delega agli eletti la scelta dell’esecutivo per costruire patti di convivenza prima ancora che di governo.

Sarà una maratona: la media statistica, tra il voto e il giuramento del nuovo governo, è di 44 giorni. Nel mentre, entro fino mese, va confezionato il documento previsionale di economia e finanza (Def): in ballo c’è il fantasma della manovra correttiva e, mettendo insieme la prossima legge di bilancio, bisogna trovare 30 miliardi di euro.

In questa corsa al buio inseriamoci anche, da qui a giugno, il voto in 4 Regioni (Friuli, Molise, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige) e in 21 capoluoghi. Ormai siamo abituati, tuttavia la sequenza di voti a grappoli e a rate produce l’effetto di una campagna elettorale senza fine, aumentando il sonoro. Se questa è la cornice, la cronaca consegna il pallino al presidente Mattarella, un uomo che parla anche con i silenzi. Da Pertini in poi, i poteri dell’inquilino del Quirinale si sono fatti a fisarmonica, restringendosi e ampliandosi in rapporto alla tenuta e alla crisi dei partiti. Ogni capo dello Stato ha il proprio stile con qualche sorpresa. Dopo l’interventismo politico di Napolitano, dettato dal cortocircuito fra spread e recessione politica, ecco in campo il profilo di Mattarella che – va sottolineato – è un costituzionalista.

In questi giorni il racconto sarà percorso da termini come «arbitro», «moral suasion», «discrezionalità»: la cassetta degli attrezzi del Colle per comporre e persuadere. Conosciamo l’indicazione di Mattarella: il richiamo al senso di responsabilità. Il 4 marzo ha chiuso la legislatura iniziata nel 2013 con il voto grillino e la non vittoria di Bersani e conclude la crisi iniziata a fine 2011 con l’insediamento del governo Monti. Siamo ad un passaggio inedito, senza precedenti ai quali rifarsi: non una semplice alternanza, ma un cambio di paradigma, una svolta di sistema. Gli elettori hanno stabilito due vincitori (5 Stelle e Lega) che intendono rompere con i criteri culturali tradizionali, uno sconfitto netto (Pd) e un altro perdente (Forza Italia) divenuto socio di minoranza della coalizione vincente a trazione leghista. Due vincitori, però, ciascuno «insufficiente» per via dei numeri in un Parlamento composto da minoranze e con gli sconfitti trasformati in ago della bilancia.

La presidenza delle Camere ha mandato in scena l’attivismo dello scaltro Salvini: più abile di Di Maio, più strutturato e con un partito che conosce il dritto e il rovescio. Il capo leghista può contare su un elettorato fedele e appagato, che segue a prescindere e, di fatto, è l’uomo che dà le carte nel centrodestra. Non oltre un certo limite, però: la relativa forza di Salvini è fatta anche della debolezza di Berlusconi, in ogni caso indispensabile. Di Maio, viceversa, ha alle spalle un non partito impalpabile e un elettorato esigente e mobile. Il leader grillino ha impresso un processo di normalizzazione a tappe forzate per accreditare i pentastellati come forza credibile e per iniziare la marcia dentro le istituzioni, annacquando e arretrando rispetto alle asprezze più insostenibili. Non vogliono più stupire, piuttosto rassicurare: un prevedibile pragmatismo già trasformismo.

Il Pd non ha voluto toccare palla e, formalmente, è fermo all’Aventino. Renzi è arroccato nel fortino del Senato e controlla gran parte dei gruppi parlamentari e dell’assemblea nazionale chiamata prossimamente all’esame di coscienza. Ma il corpaccione renziano si sta scomponendo in fedelissimi, renziani critici, diversamente renziani e «collisti» (quelli che vogliono rientrare nel gioco parlamentare).

I dem sono sul Titanic, prossimo al dramma esistenziale: condannati a lasciare sul terreno rancori e divisioni sia che scelgano di stare fermi sia di muoversi, tanto più che i conti andranno fatti comunque con Renzi, un animale da combattimento. Lo scenario complessivo indica il cambio di fase nel tentativo di assegnare un ruolo diverso, se non secondario, alla frattura destra-sinistra fin qui conosciuta.

O meglio: un bipolarismo fra una Lega che gioca da pivot a destra e la controparte ibrida dei grillini fuori dallo schema destra-sinistra, che però si parcheggia dall’altra parte cercando di prosciugare il serbatoio del centrosinistra. Sempre che un’avventura da decifrare non riveli i rischi di una possibile disavventura.

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