Salvini, l’unico
messaggio della Lega

Se Yanis Varoufakis si presenta in giacca e camicia, rigorosamente senza cravatta, e Matteo Renzi ha reso popolare la camicia bianca e i jeans scoloriti, Matteo Salvini fa di T-shirt e felpa i suoi emblemi. Corrisponde perfettamente allo spirito dell’epoca che ha nei messaggi pubblicitari il mood dominante. Dai cartelloni stradali ai banner nel web, da Facebook a Twitter, è tutto un susseguirsi di promozioni, inviti all’acquisto, suggerimenti e proposte commerciali. Perché meravigliarsi se Salvini compare ai comizi e alle manifestazioni con una maglietta con impresso uno slogan?

I fotografi scatteranno subito le loro istantanee, e il giorno dopo su siti e giornali il testo sarà ben leggibile da tutti. Usa il corpo come un supporto, fa in politica quello che le modelle fanno nella moda, sulle passerelle e nelle riviste patinate. Del resto, la Lega di Bossi è prima di tutti un brand: il colore verde, i simboli, gli slogan, per arrivare al merchandising di magliette, foulard, penne, matite, spille, tutti gadget in vendita nei raduni del movimento, da Pontida a Varese, da Venezia a Rovigo. Prima ancora di Renzi, il premier che agisce e si propone come un marchio commerciale, i leghisti avevano fatto la stessa cosa con il colore e i simboli, riti e cerimonie, mescolando antico e postmoderno. Salvini non inventa nulla di nuovo, porta solo un po’ più avanti la politica dell’immagine del movimento; lo aveva già aveva fatto Calderoli mostrando la T-shirt anti islamica. Quello che è mutato è semmai il messaggio che ora veicola; non più quello della secessione ma della inclusione. Sulle felpe che indossa compaiono i nomi delle regioni o delle città che tocca nei suoi tour in cerca di seguaci e voti.

La felpa è un capo di vestito trasversale; lo indossano giovani e anziani, studenti e professori, destra e sinistra, i Black block come Casa Pound. Comunica giovinezza, e mentre Renzi diventa sempre più ministeriale con giacca e cravatta, il leader leghista punta sulla informalità, dando un’immagine di sé come un giovanotto a tratti arruffato, come tutti i ragazzi. Si è anche spogliato per i fotografi di un popolare rotocalco, mostrandosi tra le lenzuola, pur sempre col colore verde del movimento. Anche quando è seminudo Salvini è vestito, perché a differenza di Umberto Bossi, il suo non è un corpo, bensì prima di tutto un abito. Si veste e si traveste, perché la sua natura profonda è quella della trasformazione. Oggi con i neofascisti di Casa Pound a Roma, domani con Forza Italia in Veneto, dopodomani chissà con chi. Corre dove ci sono dei vuoti politici, dove i simboli tradizionali non attecchiscono più, dove c’è un’assenza, e si mostra con la sua felpa.

In televisione e nei talk show è onnipresente. Serve a lui, al suo personaggio, e serve ai conduttori televisivi per riempire il video con un personaggio: un gatto che si morde la coda. Salvini recita a copione e punta tutto sul messaggio pubblicitario il cui contenuto è Salvini stesso. Non c’è un progetto politico, ma solo slogan pubblicitari assolutamente intercambiabili. Ha imparato l’arte della battuta, della frase memorabile, da Bar Sport, efficace e immediata, che s’imprime nella mente dei telespettatori, un’attività in cui sin qui Renzi sembrava il solo campione. Oggi la Lega non ha più un messaggio politico chiaro, non ha più un’ideologia localistica quale collante. Che differenza c’è tra Zaia e Tosi? Sono due politici perfettamente intercambiabili. Si tratta solo di una questione di leadership. Salvini è diventato l’unico messaggio della Lega, e agita gli stessi temi degli altri movimenti populisti; lotta alla casta e agli sprechi, critica a Renzi e persino una spruzzata di ecologismo.

La politica non discende più da ideologie o visioni del mondo, non scaturisce da utopie progressiste o reazionarie, deriva piuttosto dalle politiche dei brand, dei marchi. Salvini con la sua faccia da ragazzone è l’unica proposta politica che oggi la Lega possiede: lotta per mantenere e possibilmente ampliare le sue quote di mercato.

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