Scienza e umanesimo
la vera conoscenza

Con l’inaugurazione della XV edizione di BergamoScienza si apre oggi il festival dedicato alla divulgazione del sapere scientifico, con il coinvolgimento della comunità, delle scuole e dei giovani. Ancora una volta la città sta per essere animata da conferenze, laboratori, incontri con grandi scienziati e premi Nobel, ma anche con spettacoli, momenti artistici ed eventi musicali. Sempre più, cresce la convinzione che le diverse espressioni della cultura scientifica e umanistica, quando operano insieme, consentono di annodare il filo della conoscenza con quello della speranza, per liberare il mondo dalla fame, dalle malattie, dalle oppressioni e dai conflitti.

È significativo che Alfred Nobel abbia indicato nelle sue ultime volontà il desiderio di istituire un riconoscimento per «coloro che più hanno contribuito al benessere dell’umanità», non solo nella fisica, chimica e medicina (come il Premio Nobel Mario Capecchi, ospite nei prossimi giorni di BergamoScienza), ma anche nella letteratura. In fondo, il sapere scientifico e la cultura umanistica sono rappresentazioni distinte della medesima grande impresa intellettuale e spirituale, che coinvolge l’umanità verso la perenne ricerca di verità e senso.

È interessante ricordare la testimonianza della poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, amata dai lettori per lo stile semplice delle riflessioni attorno alla complessità dei problemi etici e umani. Condivideva la capacità divulgativa dei pensatori e dei grandi scienziati, che, in forza di un’umiltà mai seconda all’intelligenza, descrivono la complessità della natura con una narrazione semplice e diretta. La sua lezione magistrale a Stoccolma, sulla relazione tra i poeti e il mondo contemporaneo, conteneva una declinazione propria del pensiero scientifico sui limiti della conoscenza e del sapere: «Torturatori, dittatori, fanatici e demagoghi lottano per il potere tramite pochi slogan urlati ad alta voce […]. Loro “sanno”. Sanno, e tutto ciò che sanno gli è sufficiente per sempre. Non vogliono conoscere nient’altro, perché una conoscenza meno superficiale diminuirebbe la forza delle loro argomentazioni […]. Per questo apprezzo molto la frase “non so”. È una frase breve e minuta, ma vola su ali forti. Espande la nostra vita per includere gli spazi dentro di noi e gli spazi esterni in cui la nostra piccola terra si blocca sospesa».

Un approccio socratico all’umiltà del credere, con la consapevolezza che ciò che non vediamo è immensamente più grande di ciò che vediamo. E allo stesso tempo è fondamento del metodo scientifico che muove tutta la ricerca: il primo passo per intraprendere l’avventura della conoscenza è dubitare di ciò che sappiamo. Dubitare ci spinge a esplorare. Il tasso di mortalità infantile non sarebbe diminuito di cento volte se Pasteur non avesse coltivato il dubbio sull’origine delle malattie: non già da miasmi o da influssi astrali, bensì da batteri e virus. E non esisterebbe la navigazione Gps se Einstein non avesse messo in discussione il concetto di tempo assoluto, in modo così controintuitivo da sfidare certezze secolari.

Il metodo scientifico promuove il dubbio e l’ipotesi conseguente, non la certezza del sapere, e potrebbe assurgere a principio generale per limitare i nostri pregiudizi. Eppure recenti accadimenti muovono in senso contrario e indicano come il più pericoloso avversario della conoscenza non sia l’ignoranza, bensì la crescente illusione di sapere. Molti ritengono di essere esperti di un tema solo perché dopo aver raccolto un brandello di verità pensano di possederla tutta.

E così i social network, e talvolta anche i mezzi di informazione tradizionali, ospitano discussioni dove i nostri pareri di gente comune sono posti sullo stesso piano con quelli di studiosi che hanno dedicato la vita alla ricerca. Si amplia il mondo della post-verità, dove una notizia è percepita vera non già sull’analisi dei fatti, ma per effetto di emozioni, sensazioni e dell’illusione di sapere, generando talvolta tragedie. Sono deceduti bambini per un’otite curata con farmaci omeopatici anziché con antibiotici. Altri bambini sono morti di morbillo perché non vaccinati nel timore di mai provate relazioni con l’autismo. È certo che i genitori abbiano fatto scelte in buona fede per amore dei figli, ma c’è da dubitare della piena conoscenza dei fatti e delle conseguenze. Secondo una tradizione orientale, la verità era un grande specchio che cadde dal cielo e andò in frantumi. Ciascuno ne prese un pezzo e, vedendo riflessa la propria immagine, ognuno credette di possedere l’intera verità.

È in questo senso che le istituzioni formative e scientifiche, e le numerose attività culturali della città, cui BergamoScienza di nuovo si affianca con la passione per il sapere e l’entusiasmo dei giovani, marcano un fermento intenso e partecipato. E ci arricchiscono come uomini e comunità. Anche perché la cultura non serve solo a conoscere più cose, ma a guardare al mondo con occhi più liberi e consapevoli, carichi di comprensione e tolleranza. In fondo, senza umanità la conoscenza non ha valore.

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