Scuola, abbandono
Dramma silenzioso

Mentre il sistema-Paese arranca sulla scena europea, dietro le quinte si consuma una tragedia sociale silenziosa, quella della dispersione scolastica.

I dati che il Dossier di Tuttoscuola fornisce al riguardo sono sconvolgenti. Confrontando il numero di alunni iscritti all’inizio della scuola secondaria di secondo grado con il numero finale dei diplomati cinque anni dopo, si scopre che dal 2000 ad oggi, il sistema di istruzione ha perduto/espulso 2 milioni e novecentomila ragazzi, dei quali la metà già nel primo biennio.

Il metodo di analisi non è preciso, perché si applica solo alla scuola pubblica statale, non a quella pubblica paritaria. Così non è in grado di individuare quelli che abbandonano la scuola statale per accedere, eventualmente, alle scuole paritarie o alla Formazione professionale. Ma il numero di costoro appare molto basso, quasi irrilevante, eccetto che in Lombardia. Se funzionasse l’Anagrafe nazionale degli studenti, decisa da un Decreto legislativo del 2005, ma mai realizzata fino ad oggi, per ottusità, resistenze, opacità dell’Amministrazione ministeriale, sarebbe più facile individuare i percorsi e i fallimenti di ciascun ragazzo. Ma è confermato che ogni legge che esce dal Parlamento deve attraversare il triangolo delle Bermude dell’Amministrazione. E lì sprofonda negli abissi o approda al porto delle nebbie.

Il fiume dei dispersi va a ingrossare quello dei Neet (Not in Education, Employment or Training), i giovani tra i 15 e i 29 anni, che non studiano e non lavorano: oggi sono 2 milioni e duecentomila, il 23% della generazione, un record europeo. L’Ufficio Studi della Confindustria quantifica il costo economico-sociale del fenomeno: si tratta di 32 miliardi e 600 milioni di euro. Manca qui lo spazio per riportare altri dati, che articolano la dispersione per indirizzi e per territori. Basterà solo far rilevare che i Licei classici perdono il 20%, i Tecnici il 30%, i Professionali il 40% e che Caltanissetta disperde il 41%, Palermo il 40% e Prato il 38%. In linea di massima, il Sud e il Nord-Ovest soffrono più di altri di questa emorragia: al Sud dispersione povera, al Nord quella «ricca».

Le cause, più volte vanamente denunciate, sono sempre disperatamente le stesse. La prima è la struttura della «macchina dell’istruzione»: curriculum enciclopedico, disperso su troppe materie, ordinamenti non più in asse né con lo sviluppo psicofisico dei ragazzi né con quello socio-economico, formazione degli insegnanti lasciata alle Università, reclutamento degli insegnanti e dei dirigenti modellato su quello degli impiegati postali, assenza di valutazione esterna dei risultati, centralismo burocratico paralizzante. Una macchina che produce tanti «scarti» dovrebbe essere rottamata. Invece sono i ragazzi ad essere portati in discarica. Tocca a loro adattarsi ad un sistema di istruzione progettato e costruito nell’800, per i loro antenati.

La seconda causa sono le bocciature quale reazione della scuola al disadattamento, che essa stessa provoca. Esse servono soltanto agli insegnanti per darsi una parvenza di autorevolezza e alla scuola per fingere di essere seria. Le bocciature: il 98% di esse è totalmente inefficace ai fini del recupero. La terza causa è il fallimento della Scuola media unificata. Pensata per la prima volta nel 1864, ripresa nella Carta della scuola di Bottai nel 1939, realizzata nel 1963, essa è ormai il buco nero del sistema. Alla fine dei tre anni, al 60% dei ragazzi e alle loro famiglie i docenti consigliano di scegliere l’Istituto professionale o i Corsi di formazione professionale. Perciò il 40% si perde nel giro di un anno o due.

Lo scenario non appare luminoso: di istruzione si occupano i sindacati degli insegnanti, qualche economista dell’istruzione, qualche aficionado. Il Paese, in calo di natalità, con una generazione crescente di anziani e di pensionati, che rappresentano più della metà degli iscritti alla Confederazioni sindacali, non pensa ai suoi giovani. Guarda all’indietro.

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