Se 27 mila morti
non fanno l’Ue

Nella settimana dal 21 al 28 giugno scorsi, mentre in Italia imperversava il dibattito sui porti chiusi, 220 persone sono annegate nel Mediterraneo. L’altro giorno vi hanno perso la vita un altro centinaio di migranti, molti erano bambini. Dal 1988 i morti in mare lungo le frontiere del nostro continente sono state almeno 27.382, 16 mila dal 2014. Di fronte a questi numeri la reazione può essere un’alzata di spalle, considerando gli immigrati una sorta di umanità inferiore destinata a correre consapevolmente i rischi della traversata. L’entità delle cifre complessive è prossima a quella di un conflitto, quando non superiore: le vittime del mare sono ad esempio almeno tre volte quelle della guerra israelo-palestinese negli ultimi dieci anni.

L’Europa dovrebbe ripartire da qui per ritrovare il senso di un impegno che definisca nuove politiche migratorie, che sono altra cosa dalle risposte fragili a emergenze infinite che nella realtà rappresentano ormai fenomeni strutturali. Il processo che ha portato alla nascita dell’Ue si fondò su un «mai più» a conflitti interni al continente, quindi su valori quali la solidarietà e l’aiuto reciproci, sull’integrazione e contro la divisione.

La strage dei migranti ci riguarda, oltre che per misericordia cristiana, perché avviene nel nostro mare lungo i confini che separano il nostro continente dall’Africa e perché le vittime cercano nell’Europa un aiuto. Il dibattito dovrebbe avere il tono consono al dramma che si consuma nel Mediterraneo, al di là come la si pensi sulla questione e sulle possibili soluzioni. Lo stesso documento finale del Consiglio europeo di Bruxelles ha il suono dei testi burocratici, ricco di condizionali, giocato sulla difensiva ed elaborato in punta di penna per trovare un accordo spendibile dai diversi Stati dell’Ue presso le proprie opinioni pubbliche come un successo. «Per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo centrale – quella che ci riguarda, è scritto nel documento - dovrebbero essere maggiormente intensificati gli sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti dalla Libia o da altri Paesi. L’Ue resterà al fianco dell’Italia e degli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo». Un passaggio successivo affida alla Guardia costiera libica le operazioni di contrasto dell’emigrazione e di soccorso, nonostante la condanna e le sanzioni del Consiglio di sicurezza Onu a uno dei suoi capi, che era anche alla guida del traffico di esseri umani. In compenso il ruolo delle ong, criminalizzate in Italia senza distinzioni ne prove certe nonostante le migliaia di salvataggi compiuti, non viene nemmeno citato. Dal 2015, rilevano ancora le conclusioni del Consiglio europeo, si è registrato un calo del 95% del numero di attraversamenti illegali delle frontiere verso l’Ue (ma questo dato non lo sentirete mai citare dagli imprenditori della paura). La volontà di unità affermata nel preambolo del documento è senz’altro positiva, ma si annacqua nell’operatività. L’Italia incassa una redistribuzione (virtuale) dei richiedenti asilo sul territorio europeo ma solo su base volontaria (come volevano i sovranisti del gruppo di Visegrad alleati di Salvini: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca): finora ne sono stati accolti 43 in Austria, 47 a Cipro, 10 in Bulgaria, 22 in Croazia, 6 in Estonia, 635 in Francia, 778 in Finlandia, zero in Ungheria e Repubblica Ceca…Non viene per ora toccato il trattato di Dublino (altra richiesta di Visegrad) che obbliga a richiedere asilo nel Paese di primo approdo. In Italia la metà di chi sbarca tenta di raggiungere altri Stati per presentare la domanda. Così a Bruxelles Francia, Austria e Germania hanno ottenuto il blocco dei movimenti secondari da un Paese all’altro (ma negli ultimi due anni i tentativi di ingresso di irregolari in Germania era già crollato del 94%...). Il documento introduce poi i centri sorvegliati per «accogliere» i migranti sbarcati negli Stati Ue, ma anche in questo caso da individuare su base volontaria, e le piattaforme di sbarco nei Paesi africani, dove selezionare chi ha diritto all’asilo e chi no.

Uno dei passaggi concreti e che guardano finalmente al futuro è il trasferimento al Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa di 500 milioni. Perché il futuro dice una cosa certa: nel 2050 il continente nero avrà 2,4 miliardi di abitanti, il 60% sotto i 25 anni. L’Europa avrà stabilmente 700 milioni di residenti ma invecchiati, il 7% della popolazione mondiale, e con una perdita consistente della forza lavoro. Definire canali d’ingresso legali sarà allora finalmente un’urgenza...

© RIPRODUZIONE RISERVATA