Se il dramma diventa
lezione di civiltà

A volte episodi umanamente incresciosi possono trasformarsi in un potente volano educativo. Quello che è accaduto martedì a Maruen Defendi, 15 anni, diplegico dalla nascita, e a sua mamma Erika, è proprio uno di questi casi. La vicenda è stata raccontata su queste colonne ed è diventata straordinariamente virale su internet: mamma e figlio erano usciti per fare una commissione e prendere un gelato, quando sono stati affiancati da due ragazze che ridendo e bestemmiando hanno iniziato a scimmiottare la camminata del ragazzo.

Mamma Erika avrebbe voluto reagire, ma Maruen l’ha bloccata. «Mamma, le persone così ignoranti, vanno ignorate», le ha detto. E hanno proseguito sulla loro strada, evidentemente con una profonda ferita nel cuore. Arrivata a casa Erika ha acceso il computer e sulla pagina Facebook ha dato sfogo al suo dolore narrando quanto le era accaduto. Il post si concludeva con un invito: «Condividete la mia storia perché non può e non deve più succedere!». Un invito raccolto massicciamente, visto che sono stati superati i 53 mila like e soprattutto le 39 mila condivisioni. Insomma la notizia è dilagata, creando una catena simbolicamente solidale.

Alla fine, grazie a mamma e figlio, questo episodio vergognoso è stato ribaltato in una straordinaria lezione di civiltà. E quali sono i contenuti di questa lezione? Il principale è l’affermazione su cui si chiude il post di mamma Erika. Ha scritto: «La disabilità sta negli occhi di chi guarda». È un audace e bellissimo ribaltamento di prospettiva che deve far riflettere. Ci dice che c’è una forma di disabilità ancor più drammatica di quella che segna fisicamente l’esistenza di tante persone: è la disabilità morale di chi non porta rispetto, di chi irride, di chi calpesta i diritti di persone già ferite dalla vita. Ci sono situazioni estreme come quelle accadute l’altro pomeriggio a Bergamo. Ma la diseducazione dello sguardo, cui fa cenno mamma Erika, si è insinuata profondamente nel comportamento di tanti. Per fortuna non sempre prende quelle forme insopportabilmente volgari, ma quante volte si esplicita in atteggiamenti di sufficienza, in battute gratuite, in disprezzo sottaciuto? Se c’è un aspetto che inquieta in tutta questa vicenda è il non sapere cosa abbiano capito quelle due ragazze di quanto è accaduto; non sappiamo se hanno trovato qualcuno che abbia detto loro parole chiare, magari riportandole alla realtà con due sberloni (anche a costo di violare le moderne regole educative...).

Sul lato opposto c’è la lezione che Maruen ha dato a tutti, compresa sua mamma. È una lezione di maturità e di intelligenza, che ci fa capire come tante volte il dover fare i conti con dei limiti fisici renda più acuto e insieme più pragmatico lo sguardo sulle cose della vita. Maruen non ha evidentemente improvvisato quella frase con cui ha tenuto a freno sua mamma: fa parte del suo bagaglio di esperienza e di precoce saggezza. Avrebbe anche potuto incoraggiare la protesta e certamente avrebbe avuto tutti dalla sua parte. Invece il silenzio e la maturità hanno avuto un effetto ben più incisivo di qualsiasi richiesta di giustizia in diretta.

C’è infine un’ultima lezione da imparare da quanto accaduto. È la lezione venuta da un uso positivo del web. Mamma Erika ci insegna che i social non sono un bene o un male a priori. Dipende da noi farne strumento di costruzione di una positività, o, al contrario ridurli a ricettacoli di malizia e pettegolezzi distruttivi. Il post di mamma Erika è suonato come una sveglia per tutti. E il fiume quasi infinito di commenti che sono comparsi in coda alla sua testimonianza, è la prova che anche un’offesa ricevuta può trasformarsi in uno stimolo costruttivo al cambiamento. Un cambiamento che deve iniziare, come ha scritto lei, dagli sguardi.

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