Se il voto in Francia
fa arretrare l’Europa

L’eco delle votazioni regionali in Francia non ha mai varcato i confini e il fatto che avvenga ora, con il voto di oggi, è il segno dei tempi. La strage di Parigi pesa molto, ma non spiega tutto. Il problema è che la Francia è la Francia e questo socio fondatore dell’Europa, dopo l’orrore islamista, incrocia tutte le sofferenze di un’Unione che non ha più voglia di stare insieme. La questione ci riguarda e non solo perché abbiamo in casa la Lega. I sondaggi dicono che la destra xenofoba potrebbe conquistare un paio di regioni: il Nordest deindustrializzato e la Provenza-Costa Azzurra, storico insediamento degli ex coloni d’Algeria.

Sarebbe una prima assoluta per un partito che, complice il sistema elettorale, finora ha potuto affermarsi quasi esclusivamente alle Europee ed è un paradosso per una formazione anti Ue. Può darsi che il secondo turno di domenica prossima contenga lo sfondamento del Fronte nazionale (nel gioco delle desistenze o di una coalizione occasionale fra socialisti e neogollisti), ma in ogni caso si potrebbe avere la conferma di un riallineamento a destra delle opinioni pubbliche europee con particolare riguardo verso le «piccole patrie» nazionaliste come s’è visto anche recentemente in Polonia.

La svolta è seria: da un lato, in quello che è l’ultimo test nazionale in vista del voto per il presidente della Repubblica, rompe la geografia politica della Francia, cioè l’alternanza fra destra democratica e socialisti, e dall’altro consolida a livello continentale la leadership populista della Le Pen. Madame Marine, infatti, guida il progenitore rimesso a nuovo delle nuove destre radicali che, dopo aver fatto scandalo, fanno purtroppo scuola. È scesa in campo persino, fatto inconsueto, Confindustria per contestare le scelte economiche del partito (protezionismo, aumento del salario minimo, pensione a 60 anni) e la stessa stampa ha istituito un «cordone sanitario».

Un sistema difensivo, che tuttavia potrebbe sortire l’effetto indesiderato: favorire un partito anti establishment, già sdoganato ancor prima del 13 novembre, e che strada facendo ha imbarcato pure schegge insospettabili della cultura, un mondo che in Francia conta ancora. In realtà la strage non ha modificato una tendenza di lungo corso, semplicemente l’ha amplificata sovrapponendo crisi sociale ed economica agli effetti dei flussi migratori e al terrorismo. Le Pen è favorita dal contesto: può permettersi parole a costo zero, perché i voti vengono da soli. E può essere anche velenosa quando dice che «ormai siamo fonte d’ispirazione persino per Hollande».

Il presidente, che sta gestendo in modo composto il dopo strage, deve coprirsi sul fianco destro e lo stesso vale per i repubblicani di Sarkozy: inseguire Madame sul suo terreno o ghettizzarla, capitolare o contrattaccare? La questione è che la frittata ormai è fatta e che siamo in presenza di una realtà strutturata soprattutto nella Francia profonda: l’elettorato del Fronte, specie quello operaio e popolare, non esprime solo paura e collera, ma anche la richiesta di aiuto dei «perdenti radicali», quell’universo relegato alla periferia dell’ordine sociale e abbandonato in questi anni dalle famiglie politiche tradizionali. È il conto salato e «politicamente scorretto» presentato da chi ha subito i costi della modernizzazione, senza riceverne i benefici, che si salda alla confortevole illusione di un rifugio nel passato e alla rinuncia a interpretare il futuro. L’eventuale successo della destra xenofoba indebolisce la convivenza civile, specie ora che l’Europa ha invertito il processo d’integrazione smantellando la libera circolazione delle persone nell’Ue e costruendo i Muri, legittimando così parole d’ordine fino a ieri improponibili: la svolta autoritaria dell’Ungheria si specchia nell’altra Francia, mentre si accentua la distanza fra l’Europa dei fondatori e quella dell’Est.

L’insofferenza verso i valori democratici e la società aperta sta pericolosamente montando, trainata da un risvolto sgradevole: l’arretramento dell’Europa verso una società chiusa sembra riflettere sul versante istituzionale quel che i populisti propongono in maniera brutale. In fondo se la destra radicale pensa di essere dal lato giusto della storia lo deve più agli errori altrui che alla forza delle proprie idee.

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