Se la crisi di fiducia
colpisce il bene

Secondo un recente sondaggio condotto dall’Istituto Ixè per la trasmissione di Raitre «Agorà», solo il 34% degli italiani ha fiducia nelle organizzazioni non governative (ong): il 48% non si fida, il 18% non si esprime. La ricerca è stata condotta sull’effetto della bufera mediatica riguardo ai presunti collegamenti fra i trafficanti libici e alcune ong che operano nel Mediterraneo per salvare i migranti dai naufragi. Nessuna sorpresa per quei numeri: bastava leggere sui siti d’informazione i commenti in calce alle notizie sulla vicenda per saggiare le opinioni.

L’esito del sondaggio dice degli effetti sul senso comune dei processi condotti in via preventiva e al di fuori di quelle che dovrebbero essere le loro sedi appropriate: le aule dei tribunali. Peraltro la vicenda non ha registrato ancora fatti incontestabili: siamo ancora nell’ambito delle indagini quando non delle supposizioni.

Ma tant’è. Vedremo gli sviluppi di questo caso. La magistratura non può essere soggetta a zone franche, ci mancherebbe, e anche il mondo delle buone azioni deve rispondere a questa regola: in gioco c’è la sua credibilità, decisiva nel rapporto con i donatori. L’impressione però è che la vicenda delle ong si innesti in un clima sociale carico di pensieri negativi, di una sfiducia che non risparmia nessun ambito. In principio toccò alla politica, poi al giornalismo. Ma quel clima ha via via investito altre categorie, dai medici che prescrivono vaccinazioni, sospettati di agire sotto il tallone degli interessi delle multinazionali del farmaco, fino agli insegnanti, la cui autorità è messa in discussione quando non confermano le (esagerate) aspettative dei genitori. L’esperienza di chi ricopre un ruolo, accumulata in anni di studio e di lavoro, non è più un argine sufficiente a contenere questa marea di sfiducia e di sospetto.

In discussione qui non è l’evidenza e la possibilità di errori in malafede fino a veri e proprio reati, ma la rottura di un comune sentire fondato appunto sulla fiducia, collante decisivo per la tenuta delle nostre società. E infatti assistiamo a un fenomeno che ci dovrebbe preoccupare: la disgregazione sociale, la tentazione di rinchiudersi nel privato perché nel mondo di fuori non ci si può fidare più di nessuno, se perfino i «buoni» sono inaffidabili perché rispondono a oscuri interessi. Su questo clima c’è chi ci marca politicamente e i media che contano nel determinare gli orientamenti dell’opinione pubblica fanno la loro parte, ingaggiando un racconto della realtà spesso ossessionato dalla ricerca del negativo e senza il rispetto delle proporzioni. Il caso dell’ambito di chi è impegnato nella solidarietà è emblematico. Non mancano realtà implicate in inchieste giudiziarie e condannate per reati accertati: la vicenda più eclatante riguarda «Mafia Capitale» con alcune cooperative sociali implicate. Ma a fronte di fatti certi e circostanziati, ci sono centinaia di cooperative che agiscono in trasparenza e con grande merito contribuiscono alla soluzione di problemi complessi e alla crescita sociale del nostro Paese. Il mondo del non profit e della solidarietà in generale è poi un fattore di crescita del senso di appartenenza a una comunità, generando solide relazioni fra sconosciuti. Un’attività in contrasto con quel clima di sfiducia verso il prossimo che sfalda invece il senso di appartenenza.

Ma c’è una forma di corruzione che fatichiamo a riconoscere ed è nei nostri occhi: non ci permette di guardare la realtà nella sua pluralità di esperienze buone. Quella corruzione degli sguardi nasce dal cinismo di pensare che anche chi fa il bene deve avere un tornaconto perché la gratuità non è più possibile in questo mondo sordido. Quei numeri del sondaggio sulle organizzazioni non governative sono un campanello d’allarme, un’ingiusta condanna generalizzata di chi è impegnato con onestà e passione a curare le ferite del mondo.

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