Se la felpa sostituisce
la canotta di Bossi

Nudo tra le lenzuola, così si fa fotografare Matteo Salvini da un settimanale, quasi fosse una star cinematografica o musicale. Perché Salvini si è tolto l’immancabile felpa e si è mostrato desnudo? Perché vuol rimarcare che è un personaggio, alla stregua dell’altro Matteo, il presidente del Consiglio, che in precedenza è stato ritratto mentre si stringeva il nodo della cravatta in «Vanity Fair», oppure con il giubbino di pelle alla Fonzie sulla copertina di un giornale di gossip, «Chi». I politici hanno imparato da tempo che la politica è fondata sulla produzione d’immagini, che alimentano il loro brand, che coincide in tutto e per tutto con la loro persona.

La posa divistica nel segretario della Lega sembra negare il machismo del fondatore del partito, Umberto Bossi, che non a caso ha invitato il suo segretario a tornare a indossare la tradizionale canottiera delle origini, simbolo dell’appartenenza al popolo. Ma Salvini non ha più bisogno della canotta per evidenziare la sua leadership, perché proviene da una generazione successiva al Padre fondatore, e ne è il figlio legittimo, più ancora del nefando Trota che, come ogni figlio di sangue, ha causato la rovina del padre, trascinandolo in una serie di piccoli scandali che gli sono costati, oltre alla malattia debilitante, la messa fuori gioco nel partito da lui creato.

Salvini appartiene alla generazione post politica, quella che è cresciuta con la televisione commerciale di Berlusconi, che ha introiettato il sistema mediatico del divismo quotidiano, che ha fatto politica tenendo d’occhio, oltre le sezioni di partito, i metodi del marketing televisivo, delle televendite e della promozione del brand. Più ancora dei giochi a quiz, cui i due Matteo hanno entrambi partecipato, a formare la sua cultura di fondo è stata la pubblicità della tv dell’ex Cavaliere, il binomio divertimento e consumo, mixato con la promozione dei personaggi attraverso i giornali, da «Panorama» a «Oggi», da «Gente» a «Chi». Il mondo dei presentatori, delle divette, delle telenovelas, dell’intervista e del gossip hanno formato questi due giovanotti più della lettura di La Pira, Gramsci o Cattaneo.

La felpa indossata da Salvini, con l’immancabile scritta sul petto, diversa da situazione a situazione (Emilia, Romagna, Lombardia, ecc.), è quella dei giovani, dei frequentatori dei college americani, dei tifosi di baseball e di football. Divisa dei giovani creativi californiani, alla Zuckerberg, la felpa trasmette quel senso di giovinezza che sostituisce in tutto e per tutto la canotta di Bossi, che evocava invece il mondo del lavoro manuale, degli operai, dei contadini, dei piccoli industriali che si sporcano le mani con i loro dipendenti in officina o nel capannone. Quel mondo non c’è più, o almeno ora non esprime più valori condivisi, che avevano il loro riscontro negli slogan di «Roma ladrona» e «indipendenza al Nord». Non è questa la base elettorale di Salvini, o almeno non solo quella. Prima ancora di raggiungere i suoi potenziali elettori con l’abito, il nuovo leader leghista li abbacina attraverso un populismo agguerrito e provocatore, rispolverando l’elemento reazionario che giaceva nel sottofondo del suo partito: xenofobia, razzismo, antieuropeismo. La felpa riveste il populismo lepenista di Salvini di un giovanilismo che Renzi sembra invece sul punto di perdere, per indossare gli abiti più consoni, e responsabili, di Presidente del Consiglio: giacca, cravatta e camicia bianca. Non è forse un caso che un altro concorrente, almeno potenziale, di Matteo Renzi, Maurizio Landini vesta anche lui l’informale felpa. Sono tutti e tre, volente o nolente, uomini-immagine, aspetto che manca senza dubbio a Susanna Camusso, che non riesce, nonostante qualche tentativo con le t-shirt, di diventare il brand di se stessa, legata a un immaginario politico e sociale Anni Settanta.

Ma non basterà la felpa a Salvini per diventare il leader che vuole essere: popolare e notissimo. Per questo si spoglia a beneficio di un rotocalco, e altro farà ancora, oltre a recare presepi o doni graditi sempre più a Sud, nell’Italia meridionale, che deve conquistare per pesare davvero nel prossimo futuro. Una cosa però è certa, ora la destra estrema ha un nuovo leader, che non discende dalla Repubblica di Salò, ma esce da una costola di un partito nordista, la Lega, che ai suoi esordi si era presentato come antifascista, salvo poi governare con gli ex fascisti di An. Come insegnano le marche più prestigiose nel marketing chi si ferma è perduto. Servono sempre nuove storie da raccontare o, come si dice oggi, nuovi storytelling. La politica è sempre più una fiaba per grandi.

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