Se vince Trump
l’America è più sola

Ormai non ci sono più dubbi: dopo le primarie dell’Indiana, vinte da Trump con largo margine, e nonostante la sconfitta di Hillary Clinton in uno Stato a lei non favorevole, lo scontro per la Casa Bianca in novembre sarà tra loro due. Gli sforzi dell’establishment repubblicano per fermare il miliardario newyorchese (che in passato aveva preso spesso posizioni antitetiche a quelle del partito) sono falliti: il suo principale avversario, il superconservatore texano Cruz, ha deciso di ritirarsi dalla corsa e nessuno potrà ormai impedire a «The Donald» di raccogliere la maggioranza assoluta dei delegati che gli serve negli Stati che devono ancora votare e dove i sondaggi gli sono da sempre favorevoli.

Anche le prospettive di una «convention bloccata» a luglio, in cui i maggiorenti del partito avrebbero potuto manovrare per trovare un candidato alternativo sono svanite. Infatti, numerosi esponenti del Grand Old Party, dal presidente Priebus a parlamentari e governatori, che fino a poco tempo fa si opponevano con ogni mezzo a Trump, hanno cominciato a modificare la loro posizione preparandosi all’inevitabile. Oltre al timore di perdere la corsa alla Casa Bianca con un candidato di cui due americani su tre non si fidano, - o di cui hanno addirittura paura -, molti paventano che una pesante sconfitta nelle presidenziali possa incidere anche sulle contemporanee elezioni legislative, facendo perdere ai repubblicani il controllo del Senato, dove oggi hanno una maggioranza di quattro, e forse anche del Congresso, dove il vantaggio del partito è di trenta deputati. Per loro, che hanno usato quest’arma per bloccare le iniziative di Obama, sarebbe la catastrofe.

Oggi come oggi, tutti i sondaggi dicono che Hillary, nonostante le difficoltà che tuttora incontra nel disfarsi del sorprendente socialista Sanders vincitore anche nell’Indiana, batterebbe abbastanza agevolmente Trump, considerato troppo volgare, controverso e digiuno di politica estera per avere serie possibilità di successo. Ma alle elezioni mancano ancora cinque mesi, in cui potrebbero succedere tante cose: i guai giudiziari della Clinton potrebbero esplodere, il partito repubblicano potrebbe ricompattarsi, il fatto che Hillary si sorregga principalmente sui voti di neri ed ispanici (30% dell’elettorato) potrebbe danneggiarla presso i bianchi .E la diffusa diffidenza, persino antipatia, che circonda la sua personalità potrebbe attecchire anche tra chi oggi la sostiene. Soprattutto, si comincia a prendere in considerazione una ipotesi in apparenza stravagante, che potrebbe davvero scompigliare le carte: un travaso di una parte dei voti di Sanders su Trump, e un parallelo passaggio di voti repubblicani moderati alla Clinton. Se i primi fossero molto più numerosi dei secondi, «The Donald» potrebbe anche spuntarla, specie se avrà l’intelligenza di scegliersi un vice popolare.

La teoria si basa sul fatto che i sostenitori di Sanders e di Trump sono sostanzialmente della stessa estrazione: in prevalenza bianchi delle classi media e medio-bassa, che hanno visto ridursi in questi anni il potere d’acquisto e si sentono traditi dalla nomenklatura di Washington. Il loro è un voto di protesta generalizzata, un po’ simile a quello dei 5stelle, e anche se l’ideologia e i rimedi proposti dai due candidati sono molto diversi, una possibile convergenza non è da escludere.E sarebbe una rivoluzione.

Rimane il fatto che per votare un personaggio come Trump, che nel corso della campagna elettorale ha detto cose oltraggiose contro gli immigrati, le donne, i musulmani e molti altri, ci vuole un certo stomaco. Ma molti elettori non solo non ci fanno caso, condividono anche le sue uscite più fuori dalle righe, rendendolo impermeabile agli attacchi. A chi – anche a livello internazionale – teme una sua possibile ascesa al potere non rimane che incrociare le dita.

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