Sembra la Brexit
ma è il referendum

Più passano i giorni, e si avvicina la data del 4 dicembre, più la prova referendaria si carica di significati politici che travalicano l’Italia e lasciano sullo sfondo il motivo vero del contendere: la riforma costituzionale. È soprattutto la stampa internazionale insieme a istituti vari di ricerca e a uffici studi di banche estere a far crescere una tensione che già di per sé è molto alta: il referendum, anche grazie a loro, sta diventando una prova su cui si decide di tutto e su tutti, dalla sorte del governo di Matteo Renzi per finire a quella dell’eurozona e del mercato finanziario internazionale.

Ma cosa dicono gli investitori e gli osservatori esteri? Tra quelli schierati per il Sì, per esempio, il maggior rumore lo ha fatto ieri il «Financial Times» secondo il quale, se prevalesse il No, ci sarebbe una tale bufera finanziaria sull’Italia che ben otto banche nostrane fallirebbero. Risultato: ieri la Borsa di Milano è andata in profondo rosso, la peggiore tra le piazze europee, zavorrata come si dice proprio dai titoli bancari tutti in perdita, con il Monte dei Paschi addirittura precipitato nel burrone (infatti Mps è considerato dal quotidiano finanziario di Londra come la prima delle banche che potrebbero fallire). Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha respinto queste illazioni ma certo non poteva con le sue sole parole fermare la tempesta scatenata nella City. Come il Financial Times la pensa anche l’ufficio studi del Credit Suisse: «Meglio il Sì». Invece l’«Economist», un’altra «bibbia» della comunità finanziaria, ha scritto di preferire che vinca il No ( benché le varie edizioni del settimanale esprimessero posizioni più sfumate) ma soprattutto auspica – questa la vera affermazione di sostanza – che dopo Renzi torni un governo tecnico tipo Monti.

Su un’altra sponda invece l’Ocse, la prestigiosa organizzazione economica parigina di cui Padoan era segretario generale prima di fare il ministro, che vota per il Sì e dice che la vittoria al referendum del fronte pro-riforma è indispensabile per consolidare il cammino dell’Italia sulla strada giusta.

In tutto ciò, Matteo Renzi si mostra piuttosto infastidito per queste continue interferenze: probabilmente perché non riesce a valutare quanto giovino alla sua causa e quanto invece la ostacolino. Renzi tiene a non presentarsi come il campione dei cosiddetti «poteri forti» che vengono invece continuamente evocati dai suoi avversari come Salvini, e respinge come una minaccia l’idea di un nuovo governo tecnico come lo prefigura l’Economist. Tanto è vero che nelle dietrologie riguardanti Palazzo Chigi, si dice che Renzi in caso di sconfitta preferirebbe lasciare il posto al ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio che al titolare di via XX Settembre Padoan per sottolineare il carattere «politico» di un esecutivo di breve durata col solo compito di fare la nuova legge elettorale e condurre l’Italia alle elezioni in primavera.

Più passeranno i giorni e più queste tensioni aumenteranno, col risultato di disorientare gli elettori. Ma il referendum italiano ormai è considerato nel mondo come la Brexit ed è, almeno in parte, non più nelle nostre sole mani.

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