Sentiero stretto
l’avviso di Padoan

Alla vigilia delle consultazioni decisive al Quirinale, l’intervento del ministro Pier Carlo Padoan, a Bergamo per il giuramento degli allievi ufficiali della Guardia di Finanza, s’è rivelato un corretto richiamo alla realtà. Non un semplice rendiconto, piuttosto un avviso ai naviganti, a chi verrà dopo, che acquista maggior peso per il suo stile concreto e antiretorico. Nei giorni in cui c’è chi si rimette l’elmetto rispolverando l’improponibile referendum sull’euro, il titolare dell’Economia indica sì la «strada maestra», ma ne precisa il percorso obbligato: «il sentiero stretto» che passa attraverso il consolidamento dei conti pubblici, la riduzione del debito e il sostegno alla crescita. Un formulario per presidiare e redistribuire i dividendi della ripresa, resa possibile dai governi di questa legislatura che hanno pilotato l’uscita dalla crisi, e che, per quanto noto, va ribadito proprio per la piega presa dalla crisi seguita al voto del 4 marzo.

La dissociazione, cioè, fra un sistema politico ripiegato sui propri tormenti e schemi di gioco, lontano dalle urgenze del Paese, e un quadro economico ed europeo che deve essere in cima all’agenda dei futuri governanti, gestito con mano responsabile. Senza fughe in avanti o ripiegamenti protezionistici.

Il ministro, che in questi anni ha guidato la cabina di regìa in collegamento con le istituzioni internazionali, non poteva non difendere i risultati ottenuti dai governi Renzi e Gentiloni, proiettandoli però lungo una linea di continuità garantita da quel «non bisogna abbassare la guardia»: insieme un lascito positivo e un invito a replicare quel codice di condotta. I dolorosi compiti a casa sono stati compiuti, ma resta pur sempre il macigno del debito pubblico, per quanto si sia stabilizzato con tendenza alla discesa.

Dunque, il processo riformista va proseguito (Jobs act, sistema bancario e giudiziario, pubblica amministrazione) e sarà decisiva la questione sociale, universo in grande sofferenza, l’eredità velenosa della Grande crisi che ha composto un trittico inquietante a più dimensioni: disuguaglianze tra regioni, generazioni e classi di reddito. Il messaggio sembra proprio questo: i conti pubblici sono in sicurezza, la cornice macroeconomica è sotto controllo, ora bisogna «aggredire», dice Padoan, la deriva delle disuguaglianze, la disoccupazione giovanile sempre elevata, per rendere la crescita più inclusiva. Non è un caso che il ministro abbia indicato la necessità di nuove misure contro il disagio sociale e che abbia citato il reddito d’inclusione, il primo strumento adottato contro la povertà e, per certi aspetti, il competitore del reddito di cittadinanza grillino. In sostanza dovrebbe essere questa l’adeguata cassetta degli attrezzi di un’Italia che sta ancora ai margini dello status di sorvegliato speciale, rimanendo nella gabbia delle preoccupazioni europee.

Il miglioramento del clima di fiducia del Sistema Italia (consumi e investimenti) contrasta con l’incertezza politica dettata da una situazione inedita (nessuna maggioranza, tre minoranze, tatticismi esasperati, impreparazione ad assorbire la logica consensuale del sistema proporzionale), la cui soluzione sta nella fantasia creativa del presidente Mattarella. Dovremmo essere all’ultimo miglio, mentre le compatibilità europee non ci aspettano. A fine mese il vertice Ue deve stabilire la ripartizione delle quote di bilancio dei singoli Stati dopo la Brexit e la questione migratoria, pronta a riproporsi con il bel tempo e che ci vede in prima linea. Nelle prossime settimane il Parlamento deve licenziare il Documento di economia e finanza (Def) confezionato dal governo e da inviare a Bruxelles, il primo passaggio del ciclo che terminerà con la legge di bilancio. Il Def corre il rischio di non trovare una maggioranza sulle risoluzioni che servono per dare un indirizzo programmatico e per accompagnare il Documento: in una cornice politica che non ha precedenti, anche questa sarebbe la prima volta. Per la legge di bilancio, fra ottobre e dicembre, bisogna poi garantire i 12 miliardi necessari per stoppare l’aumento dell’Iva. Proibiti ingorghi e pasticci. La chiusura delle consultazioni e le scelte del Quirinale completano il secondo tempo del 4 marzo, per aprire una nuova partita tutta da inventare e da giocare poi in Parlamento: Camera e Senato diventano i protagonisti e qui, al dunque, si verificherà la presa dei partiti sui gruppi parlamentari. Lo schema cambia, vedremo con quale formula e con quali volti. Territori forse sconosciuti, per tempi non ordinari.

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