Società fragile,
istituzioni deboli

Va a finire che l’Italia dovrà rimpiangere il ministro tedesco, Schäuble, il mastino dell’austerità, per quanto il governo Gentiloni si sia già garantito la flessibilità in vista della prossima legge di Bilancio. Se, a Berlino, il titolare delle Finanze dovesse essere un liberale non sarebbe una buona notizia per il Sud Europa, l’area più vulnerabile, l’ultima ridotta del centrosinistra o comunque delle coalizioni non di centrodestra: Italia, Grecia, Portogallo, Malta. Già la sponda francese, per noi, presenta qualche elemento di ambiguità. Macron è un ottimo europeista quando parla nella scenografia della Sorbona, come l’altro giorno, ma poi chiude sui migranti economici e difende con i denti gli interessi francesi: l’intesa su Fincantieri, per l’Italia, più che un successo rappresenta una riduzione del danno.

I liberali tedeschi non sono apparentabili ai loro colleghi della Prima Repubblica italiana e assai distanti dai loro predecessori degli anni ’70-’80 quando erano guidati da un peso massimo come Genscher, la spalla di Kohl. Per fortuna c’è il soldato Draghi alla Bce e nel mentre conviene tenersi stretta la signora Merkel, confidare nella sua leadership e nella sua proverbiale attitudine al compromesso, anche se (suo malgrado) sarà chiamata dal suo stesso partito, e soprattutto dall’ala bavarese, a recuperare consensi verso il mondo conservatore.

Il che significa rivendicare un forte controllo tedesco sui Paesi con i conti non a posto. In ogni caso, nonostante il traumatico cambio di fase con l’arrivo di un centinaio di deputati dell’estrema destra, la democrazia tedesca ha le spalle larghe ed è frequentata da un popolo che si riconosce nelle istituzioni e nelle leadership molto più di noi: la Grande coalizione democristiani-socialdemocratici, rappresentativa delle passioni del principale azionista europeo, ha raccontato anche questo. La Germania, che fino a ieri aveva un sistema stabile di «due partiti e mezzo», sperimenta oggi la frammentazione del tripolarismo che il laboratorio italiano ha inaugurato nel 2013 e che sta diventando uno standard europeo. Ma l’Italia, come sosteneva Aldo Moro, ha una società fragile e istituzioni deboli: 50 anni dopo quella lucida analisi, la vitalità creativa del Paese non sa come uscire da questo cortocircuito. Siamo ancora lì, accumulando e inventando scorciatoie più che soluzioni. Per superare questo passaggio critico l’illusione che va per la maggiore è che sia sufficiente riformare la legge elettorale e poi le cose si sistemeranno: ragionamenti come questi indicano che non si capisce la vita reale che sta attorno a noi. Fosse ancora vivo Giovanni Sartori, l’inventore dell’ingegneria costituzionale, ci ricorderebbe che le formule per tradurre i voti in seggi sono molto ma non tutto, specie se il sistema dei partiti fa acqua da tutte le parti, non è coeso ed è governato dall’indisciplina. Ora c’è in ballo il tentativo di una nuova legge elettorale con una correzione in senso maggioritario, che spinge parzialmente verso le coalizioni: la quota proporzionale è affiancata da una minore riferita ai collegi. Stando ai rapporti di forza, è una regola la più maggioritaria possibile. L’obiettivo, comunque lo si voglia giudicare, è ottenere una maggioranza solida e una governabilità di schieramento. Le leggi elettorali, tuttavia, accompagnano i processi di aggregazione dei consensi, ma non decidono sino in fondo la prospettiva della governabilità. Questo non è un problema solo di norme, ma riguarda la società e l’elettorato: dibattito mai concluso.

Il quadro politico italiano è composto da tre aree più i cespugli, quei partiti minori anche di recente formazione che non vogliono allearsi con nessuno: la posizione di D’Alema è molto chiara nella sua dichiarata autosufficienza, accentuando ulteriormente la frammentazione del centrosinistra. C’è una frattura radicale fra populisti da una parte, che talora non s’identificano negli assetti istituzionali, e riformisti e moderati dall’altra che non hanno la pretesa di stravolgere l’impianto storico. Lo scontro, però, è doppio: attraversa i partiti e l’elettorato in modo viscerale, scuote l’apparato istituzionale e la stessa convivenza civile. Diventa tutto più difficile e il legame fra legge elettorale e governabilità è, semmai, solo un pezzo del rebus. È la stessa società italiana ad essere disgregata e fatica a ricomporsi: davvero non porta alcuna responsabilità? C’è insomma qualcosa di più profondo rispetto al ruolo che può giocare l’ingegneria normativa: lo sdoganamento della «rivolta autoritaria», se vogliamo chiamarla così, è una sfida sulla cultura politica, che riguarda una certa idea di società. Al di là dei limiti e dei pregi di qualsiasi legge elettorale.

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