Sovranismo, ultima
chiamata per l’Europa

Secondo una ricerca di Freedom House – organizzazione con sede a Washington che conduce attività di ricerca su democrazia, libertà politiche e diritti umani – nel 2017 il numero di Paesi che hanno registrato la sconfitta della democrazia è risultato superiore a quelli che l’hanno adottata. Questa tendenza, che si è accentuata dal 2007 a causa della crisi economica, è stata accompagnata da una preoccupante evoluzione del sentire comune, visto che solo un terzo dei giovani d’oltreoceano ritiene essenziale vivere in un regime democratico.

La maggior parte pensa che i regimi militari, gli uomini soli al comando e «Populismo» e «Sovranismo» rispondano meglio alle esigenze dei cittadini. A questi due ultimi movimenti, l’Economist ha recentemente dedicato un’approfondita analisi, soffermandosi dettagliatamente sulle scelte strategiche e psicologiche utilizzate per raggiungere il potere e per gestirlo. Si parte col mettere marcatamente in evidenza i maggiori problemi che affliggono i ceti più deboli, attraverso l’utilizzo di internet o con incontri di piazza nel corso dei quali si dà sfogo ad ogni risentimento. Si prosegue indicando quale sia il nemico da combattere, individuato nelle élite, nei cosiddetti poteri forti, nelle classi dirigenti, nei politici corrotti e superpagati. È frequente l’individuazione del nemico al di fuori dei confini nazionali, il che concorre ad esasperare gli animi. Tutti questi nemici sono i registi occulti della situazione d’indigenza e insicurezza nella quale vivono i cittadini.

A questo punto, raggiunto l’obiettivo del potere, i fautori del «Populismo» e del «Sovranismo» lo consolidano occupando tutte le posizioni di comando nelle istituzioni e nelle imprese pubbliche. L’ultima fase riguarda gli interventi, più o meno palesi, volti a limitare l’indipendenza delle istituzioni, della magistratura e dell’informazione. Tale strategia narratologica non è certo nuova. Ripropone tristi esperienze del passato che hanno contribuito alla progressiva limitazione delle libertà e che appaiono ahimè finite, più o meno capziosamente, nel dimenticatoio. Oggi, i nuovi movimenti «populisti» e «sovranisti» che cavalcano l’onda lunga di un drammatico disagio sociale, si sono giovati degli errori che hanno indebolito le democrazie rappresentative. Insufficiente lotta a corruzione e privilegi. Scarsa attenzione ai problemi primari della gente quali povertà, disoccupazione, disagio giovanile. Incapacità di trovare soluzioni adeguate all’incessante crescita dei flussi migratori.

Secondo autorevoli politologi le democrazie sono fallite anche per non essere state in grado di fare emergere i migliori e di accrescere il livello complessivo d’istruzione. Ne sono derivati leader incapaci e cittadini prevalentemente incolti, dunque, «orientabili». Un effetto degenerativo a cascata del pensiero politico democratico, quello posto all’attenzione dall’Economist, a seguito del quale anche nel nostro Paese «populisti» e «sovranisti» hanno trovato terreno fertilissimo, assumendo il governo del Paese sulla base di un contratto speculativo assai più che di una comune visione politica. Sta di fatto che sono molti a pensare che sarà difficile invertire tale tendenza. Una conferma o una smentita di ciò – dopo circa un anno di governo giallo-verde che avrà difficoltà a mantenere tutte le promesse elettorali – potrebbe venire dalle elezioni europee della primavera prossima. Da una parte vi saranno coloro i quali invocano un’ultima chiamata, vedendo ancora nell’Europa una comunità democratica di Paesi che rinunciano ad una parte della loro sovranità per dare corpo ad una federazione che si occupi di politiche comuni. Dall’altra parte vi saranno coloro i quali immaginano l’Europa come un mosaico di Paesi, ognuno chiuso nei propri esclusivi interessi nazionali. È del tutto evidente l’enorme significato di questa sfida.

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