Si spera che il dolore
ci insegni qualcosa

Con tutto il senso della tragedia che si accompagna all’ennesima sciagura italiana, «con la dovuta, necessaria, sentita partecipazione al dolore», come ha detto al termine del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana il segretario monsignor Nunzio Galantino, dobbiamo tutti augurarci che questi eventi, «ci insegnino qualcosa». Finora ci hanno insegnato poco. Gli incidenti ferroviari non sono certo un’esclusiva italiana (Polonia, Germania, Ungheria e Romania ci battono)ma la loro frequenza è tra le più alte in Europa. La tragedia di Andria del 12 luglio 2016, lo scontro tra due treni che viaggiavano su un binario unico, dovuto alla mancata e tempestiva comunicazione al telefono di uno degli operatori, è ancora nella nostra mente e nei nostri cuori. Ma la tragedia del «treno dei pendolari» di Cremona nel tratto tra Pioltello e Segrate, alle porte di Milano, è avvenuta nel cuore del Nord industrializzato, in una rete sofisticata e complessa che pensavamo all’altezza della dimensione europea del territorio.

Pare che alla base del disastro ci sia stato il cedimento strutturale di un pezzo di 23 centimetri di una rotaia. Tanto è bastato a far deragliare tre carrozze con un impatto devastante. Non si tratterebbe dell’incapacità o della distrazione del personale di bordo, ma dell’incuria, o quanto meno del mancato controllo della linea.

Un incidente che ricorda anche la tragedia immane di Viareggio del 29 giugno 2009, quando un merci carico di gas infiammabile accusò un cedimento strutturale causando la morte di 32 persone. Per evitare questo tipo di incidenti sono previste procedure cicliche di controllo, molto stringenti.

Qui siamo alle prese con un treno regionale e soprattutto con una linea frequentata da decine di migliaia di pendolari. È noto che in questi anni le ferrovie hanno puntato sull’alta velocità, trascurando i treni regionali, le cenerentole del trasporto pubblico, così che abbiamo avveniristici treni che fanno concorrenza al Giappone nelle tratte tra Milano, Roma e Napoli e carrozze vecchie di decenni che si trascinano sulle rotte di chi si alza ogni mattina per salire su un treno sovraffollato e andare a lavorare.

Una delle vittime della strage di ieri, hanno ricordato i suoi poveri genitori, si lamentava continuamente di come i treni su cui viaggiava fossero rotti e sempre pieni, stipati come sardine. Ancora una volta la manutenzione, ancora una volta la cultura della sicurezza è venuta meno proprio nel settore più delicato e vitale del trasporto ferroviario italiano, provocando una strage.

In Lombardia ci sono almeno 25 associazioni di pendolari che quasi quotidianamente denunciano al grave situazione in cui versa il trasporto regionale dei passeggeri: dalla guerra dei posti a sedere che conosce bene chi frequenta i treni dei pendolari, con soppressioni improvvise delle carrozze e ritardi continui, fino al problema della sicurezza e dell’affidabilità, che a tutto questo si ricollega.

Proprio così. Speriamo che i morti di ieri ci insegnino qualcosa, perchè la sicurezza non può essere appannaggio solo delle classi medio alte, dei manager e dei dirigenti e degli alti funzionari che prendono il treno per Roma ma anche per chi ha scelto il trasporto su rotaia per recarsi sul posto di lavoro, magari seguendo il consiglio di chi vorrebbe le nostre autostrade più libere al mattino e non al centro di ingorghi surreali.

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