Spy story di Panama
Evasione dei potenti

Già il nome dell’affaire evoca il titolo di una spy story: «Panama Papers», le carte di Panama. Anche la trama è da legal thriller: uno studio legale internazionale specializzato in paradisi fiscali, il Mossack Fonseca, con sedi a Miami, Hong Kong, Zurigo e altre 35 località sparse nel mondo, decide di diffondere milioni di documenti che gettano l’ombra del sospetto a fortune riconducibili ai potenti della Terra.

Un pool di giornalisti internazionali - la crème della crème investigativa - si mette a spulciare tra le carte ed ecco emergere le fortune dei potenti di mezzo mondo. Ed ecco spuntare, tramite i loro entourage e un mare di prestanome, i nomi del presidente della Russia Vladimir Putin, del presidente ucraino Poroshenko, della famiglia dell’Arabia saudita, del leader cinese Xi Jinping, al defunto padre di James Cameron, passando per il presidente siriano Bashar Al Assad, il defunto Muhammar Gheddafi, l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, il presidente dell’Azebairgian Ilham Aliyev. Ma compaiono anche i nomi di star dello spettacolo e soprattutto dello sport, come Lionel Messi, l’ex pilota di Formula Uno Jarno Trulli e Michel Platini (che ha smentito, come tutti gli altri della lista di evasori internazionali).

Un intreccio planetario di potenti, faccendieri, boss legati al cartello dei narcos, signori della droga messicani, organizzazioni terroristiche come gli hezbollah sciiti libanesi, oscuri nomi fantoccio della Corea del Nord o dell’Iran. Per i giornalisti che spulciano tra i milioni di documenti è come essere dei topi dentro una casa di gruviera: conti segreti, montagne di capitali trasferiti estero su estero, miliardi di tasse evase, patrimoni colossali come quello attribuito a Putin: quasi due miliardi di dollari, la finanziaria di uno Stato come il Belgio dentro forzieri privati a disposizione della famiglia. In questo guazzabuglio è finito anche il «povero» Montezemolo, che ha smentito con decisione qualunque conto di questo genere. Anche gli altri protagonisti, come detto, hanno smentito, ciascuno a modo loro. Messi ha detto laconicamente che «di queste cose si occupa mio padre», mentre Putin ha liquidato il tutto come il solito complotto della Cia. Persino il regista Pedro Almodovar è finito nella lista, assicurando di sapere tutto su sua madre ma niente di questa storia che gli pare surreale come i suoi film.

Una trama che avrebbe appassionato Ken Follet o Frederick Forsyth e sicuramente il re dei legal thriller Grisham. La «Panama Leaks», vista la mole di documenti, potrebbe andare avanti per anni. Una pacchia per i giornali che hanno firmato l’esclusiva.

Se la storia fosse vero, anzi se solo un decimo di questa storia fosse vera, ci troveremmo di fronte all’ennesima prova che la realtà può superare persino la fantasia di scrittori di best seller. Le ripercussioni morali e politiche sarebbero enormi, soprattutto per quanto riguarda i capi di Stato, poiché non si possono chiedere al proprio popolo lacrime, sudore e soprattutto tasse come è stato fatto in questi anni di crisi e poi nascondere patrimoni immensi al riparo del fisco, gabbando la gente che ti governa per diritto di voto o per diritto ereditario (o per diritto tirannico). Naturalmente l’altra metà dei potenti planetari che non è finita nella black list panamense, (qualche nome a caso: Obama, Bush, Hollande, Clint Eastwood, Madonna, Brad Pitt, Tavecchio, Moggi, gli eredi di Michael Jackson o il sultano del Brunei) se la ridono sotto i baffi, anche se non li hanno.

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