Stato-mafia
teoremi e verità

Dopo il maxiprocesso di Palermo istruito da Giovanni Falcone, la mafia ha alzato il tiro contro le istituzioni, a cominciare dall’omicidio Lima. A quel punto lo Stato, o frange di esso, per fermare l’ondata di sangue avrebbe intavolato una trattativa con Cosa Nostra. È l’assunto fondamentale su cui ha ruotato il processo a carico di carabinieri, uomini politici, mafiosi e altri personaggi che va avanti da cinque anni e sei mesi e che ieri ha avuto il suo primo verdetto. I giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno comminato pene pesantissime a carico di uomini delle istituzioni

e «uomini d’onore» dimostrando di credere al teorema dell’accusa: dodici anni per gli ex generali Mario Mori e Antonio Subranni, dodici anni per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, otto anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno, ventotto anni per il boss Leoluca Bagarella. Assolto l’ex ministro Nicola Mancino, perché il fatto non sussiste. Massimo Ciancimino, figlio di Vito, il supertestimone del processo, che aveva esibito il famoso «papello», ovvero l’elenco delle richieste dei mafiosi allo Stato, rivelatosi una clamorosa patacca, è stato condannato a otto anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro ed è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Il contesto è quello della terribile stagione cominciata dal sangue delle stragi di Capaci e via D’Amelio. La condanna attribuisce la responsabilità agli ufficiali del Ros per il periodo 1992; a Dell’Utri, per il «periodo del governo Berlusconi». Ovvero, il periodo 1993-1994. I pm di Palermo fissano l’inizio di tutto nell’omicidio a Mondello dell’europarlamentare Salvo Lima, ritenuto contiguo a Cosa Nostra e ucciso perché ritenuto non più in grado di garantire i rapporti tra Cosa Nostra e istituzioni. È a quel punto che l’escalation prosegue, con la mafia che alza il tiro con le bombe agli Uffizi, alla Villa Reale di Milano, contro Maurizio Costanzo a Roma. Lo Stato avrebbe ceduto attenuando il carcere duro per 300 uomini di Cosa Nostra e chiudendo un occhio sulla cattura di Provenzano in cambio della cattura di Totò Riina.

Ma è davvero tutto chiaro? Le sentenze vanno rispettate, ma il teorema accusativo ha sempre presentato dei punti deboli o controversi. Calogero Mannino, ad esempio, divenuto oggetto di minacce all’indomani dell’omicidio Lima (gli verrà recapitata una corona funebre), sarebbe stato uno dei tramiti della trattativa insieme con alcuni ufficiali dei carabinieri del Ros. Ma in un altro processo è stato assolto con formula piena. Vi sarebbe stato poi un abboccamento per far convergere i voti di Cosa Nostra su Forza Italia. Tesi piuttosto ardita poiché equivarrebbe a dire che tutta la Sicilia è mafiosa, visto il famoso «cappotto» in cui Berlusconi vinse in tutti i collegi dell’Isola nel 2001. Come detto, il cuore della trattativa era il papello, in cui si chiedeva l’abolizione del carcere duro per i mafiosi. Ma a parte il falso di Ciancimino, non si è mai trovato nulla di simile. Le fonti di prova della procura sono state sostanzialmente le deposizioni dei pentiti, esattamente come nel processo Contrada e Andreotti, da Giovani Brusca a Salvatore Cancemi, Nino Giuffrè e Gaspare Spatuzza.

Anzi, spesso i pentiti sono gli stessi dei due processi citati. Tutti (ma solo loro) avvalorano il fatto che l’indomani del delitto Lima e degli attentati venne avviato il dialogo tra i carabinieri e i capimafia. Anche alcune sentenze avvalorano l’ipotesi che sia esistito un patteggiamento tra Stato e malavita organizzata, ma sempre sulla scorta dei collaboratori di giustizia. Ci sono altri processi in contraddizione con la sentenza di ieri, oltre a quella di assoluzione per Mannino. Anche il generale dei carabinieri Mario Mori è stato assolto dall’accusa di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, moneta di scambio tra mafia e Stato. Così come è stata compromessa la credibilità di Massimo Ciancimino. L’impressione è che dovremo attendere gli altri gradi di giudizio per capire fino in fondo quella terribile stagione in cui è nata la Seconda Repubblica.

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