Stop Mare Nostrum
L’ipocrisia europea

Mare Nostrum, l’operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale iniziata un anno fa, all’indomani del drammatico naufragio al largo di Lampedusa che costò la vita ad oltre 300 migranti, è dunque arrivata all’epilogo.

Il 1° novembre dovrebbe subentrare Triton, la nuova forza europea, che l’Italia per tanti mesi aveva richiesto. Siamo dunque alla vigilia del cambio di guardia, ma le incertezze rispetto a quello che accadrà sono molte più delle certezze. Innanzitutto l’azione europea ha un raggio d’azione molto diverso da quello di Mare Nostrum, in quanto

verranno pattugliati tratti di mare sino a 30 miglia dalle coste. Invece gran parte dei salvataggi effettuati dalle navi italiane in quest’ultimo anno sono stati fatti molto più al largo o poco lontano dai porti di partenza: quindi resta l’incognita su quelle vaste aree di mare che tra pochi giorni potrebbero restare senza protezione. Il ministro Alfano che nei mesi scorsi era stato uno dei più accesi paladini di Mare Nostrum, in queste settimane è stato invece rigido nel confermare la fine dell’operazione, avanzando anche ragioni economiche.

Dal 1° novembre mancheranno i 9 milioni di euro mensili necessari a sostenere Mare Nostrum, in quanto il governo non lo ha rifinanziato. Ma lo stesso Alfano deve fare i conti con un dissenso imprevisto. Il più clamoroso è quello dell’ammiraglio Filippo Maria Foffi, il quale parlando davanti al Consiglio europeo per i rifugiati, prima ha spiegato di non avere ancora avuto ordini politici di chiudere l’operazione. E poi ha fatto capire che il passaggio di consegne deve essere per forza di cose graduale. Ma anche nello stesso ministero degli Interni le posizioni non sono unanimi: il sottosegretario Domenico Manzione in un’intervista al sito Vita.it ha voluto precisare che «Mare nostrum chiuderà in termini progressivi, che verranno decisi in uno dei prossimi Consigli dei ministri».

Nel frattempo «sta partendo Triton, che però avrà una mission diversa, più legata al controllo delle frontiere che al salvataggio dei migranti». Manzione ha ricordato poi che l’obbligo di salvare le persone in mare fa parte dei trattati internazionali, e quindi, in ogni caso, non si può pensare di eluderli. Tra l’altro Triton, prima ancora di partire, ha già perso un pezzo: si è sfilata la Gran Bretagna che ha detto di non aver nessuna intenzione di sostenere un’operazione che alla fine si sarebbe rivelata quasi un incentivo a tentare la traversata. Insomma, ognuno sembra andare avanti per la propria strada: in particolare colpisce la svolta di Alfano, che ha sempre fatto di Mare Nostrum una bandiera anche politica. Ma la linea rigida per la sospensione definitiva dei pattugliamenti da parte della Marina, è dettata anche da calcoli di consenso: il successo della manifestazione indetta dalla Lega di Salvini a Milano, il 18 ottobre scorso è suonato come un campanello d’allarme.

«Siamo fermi all’“ognuno pensi per sé”», ha denunciato Guido Bolaffi, capo del Dipartimento del ministero delle Politiche sociali, intervistato da Avvenire. «È inconcepibile che ciò che ha speso un Paese solo non possano spenderlo, dividendolo tra loro, 27 Paesi». Il caso della frontiera sud sta quindi impietosamente svelando un continente ripiegato su se stesso, traballante davanti ai dilemmi messi in campo dalla globalizzazione, più preoccupato delle proprie frontiere che delle migliaia di vite che rischiano di essere inghiottite dal Mediterraneo. Un continente prigioniero di una prudenza che lo paralizza. Alla fine solo l’inverno e il fisiologico arresto delle traversate renderanno meno drammatiche le conseguenze di un piano che con sei natanti pagati da un intero continente, vorrebbe sostituire le 32 navi messe in campo da un solo Paese, il nostro.

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