Strage a Bangui
Il mondo silente

L’aveva eletta capitale spirituale del mondo e tutti speravano che la decisione di Papa Francesco di aprire il Giubileo della misericordia a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, cuore del continente negletto dal resto del mondo, potesse lasciare un’impronta. Sono passati tre anni ma l’appello di Bergoglio ad occuparsi dell’Africa, a capire le ragioni di conflitti che tutti dimenticano perché così fa comodo, è scivolato via e a Bangui sono tornati in questi anni passione e morte nel più totale oblio. Anche l’ultima strage è subito sparita dai media internazionali compresi quelli italiani.

Il Centrafrica è un caso tipico di Paese trascurato sugli scenari internazionali, perché è una preda di molti che aspirano a sfruttarne le risorse naturali, diamanti in prima fila, e il fatto che da molti anni si combatta lì una guerra civile infinita, guerra economica con sfumature etniche che sfruttano le differenze religiose, è solo la conferma dell’alta posta in gioco.

Eppure è questo il destino dell’Africa. Il continente resta un campo di battaglia, realtà apocalittica in alcuni Stati, in cui nessuno ha intenzione di impegnarsi. C’è il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana, la Nigeria, il Congo, c’è la Somalia e una fascia di interi Paesi diventati da troppo tempo solo luoghi geografici del dolore, dove la sofferenza, lo sfruttamento, lo stupro, la morte sono normali, come normale è vivere in una spirale di violenza e di paura. Gli ultimi morti di Bangui non sono una sorpresa, ma solo il naturale proseguimento degli orrori di una guerra civile a cui nessuno ha intenzione di metter mano. Il presidente centrafricano Touadera aveva scongiurato il resto del mondo, parlando l’anno scorso all’assemblea delle Nazioni Unite: «Don’t forget us», non dimenticateci. Invece è accaduto esattamente, nonostante l’impegno finanziario di oltre 400 milioni di dollari per un contingente delle Nazioni Unite che non protegge nessuno. Bangui resta la capitale del Paese più povero del mondo, dove i diritti civili sono carta straccia e dove l’amministrazione della giustizia non si sa nemmeno cosa sia.

Papa Francesco era andato a Bangui per rivolgersi da lì al mondo. E aveva anche fisicamente dimostrato che lo «Spirito di Assisi», cioè la forza del dialogo interreligioso, poteva giocare un ruolo positivo nella riconciliazione etnica e nella individuazione di ragioni politiche per rimettere in piedi lo Stato. Ci aveva provato anche la Comunità di Sant’Egidio con un accordo tra le varie fazioni firmato l’anno scorso a Roma, che prevedeva il disarmo e una road map per la ricostruzione del Paese. In realtà le violenze non si sono mai fermate, anzi negli ultimi mesi sembrava di essere tornati al punto di partenza con scontri sempre più crudeli. L’odio non è sparito, la riconciliazione non è avvenuta e le religioni continuano ad essere strumenti nelle mani di gruppi armati che combattono per il controllo del territorio e delle risorse.

Quasi mai è stata fatta luce sugli episodi più drammatici e quasi mai si è saputa la verità. Così la vendetta e la rappresaglia sono l’unico bene di consumo. La Chiesa cattolica è nel mirino perché accoglie profughi e cerca la riconciliazione tra le etnie nel nome della comune patria centrafricana. Ma per decollare la riconciliazione ha bisogno di qualcosa di più, ha bisogno di verità e di una Corte di giustizia che punisca i criminali e faccia luce sui crimini. Ha bisogno di un cessate il fuoco vero e di un tavolo comune dove tutti quelli che non si sono macchiati di atrocità, dall’uso di bambini soldato allo stupro etnico, si possano sedere e discutere. Altrimenti la Repubblica Centrafricana sparirà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA