Sul carro dei 5 Stelle
giravolte del potere

I 5 Stelle sono ad un passo dal potere: che fare? La domanda gira vorticosamente nelle stanze che contano da Roma a Milano. Domanda appena appena frenata dal dubbio: e se poi il governo non riescono a farlo? Se rimangono con il loro 30% di voti in mano? Varrà la pena di compromettersi? Il dubbio è se mandare un whatsapp o fare una telefonata: «A proposito, qualcuno ha il cellulare di Di Maio?». Le incognite del potere in Italia si incrociano sempre con quell’invincibile tentazione, come diceva Flaiano, «di correre in soccorso del vincitore».

O anche, per usare l’ironia di Luca Cordero di Montezemolo, di «salire sul carro dei vincitori prima ancora che si muova». Montezemolo, che conosce come le sue tasche salotti e anfratti del potere, sa di che parla e manifesta la sorpresa di chi finora ha degnato i grillini appena di un’alzata di sopracciglio. Ma è in gran compagnia: a riguardare gli incontri, i convegni, i rendez-vous volonterosamente organizzati dalla Casaleggio & Associati tra i suoi assistiti e gli uomini che contano lungo la Penisola, non è che fossero stati dei trionfi.

Anzi. All’ultimo meeting dell’Ambrosetti, a Cernobbio, il giovane Di Maio è stato ascoltato con cortesia ma niente di più: sarà per l’esile curriculum del giovane di Pomigliano d’Arco, sarà per i suoi problemi con il congiuntivo e la geografia, sarà perché da quelle parti sono anche parecchio snob, non se lo erano proprio filato il candidato premier del Movimento 5 Stelle.

Né le cose erano andate meglio a Londra dove «l’incontro con la City» si era risolto in una chiacchierata con qualche amico del professor Fioramonti (il possibile ministro dello Sviluppo economico organizzatore del viaggio) per di più rigorosamente in italiano, unica lingua parlata dal pupillo di Grillo.

Insomma, finora i grillini erano stati tenuti alla larga, e infatti quando hanno messo insieme la cosiddetta «squadra di governo» – di cui peraltro in questo momento non si parla più – gli avversari avevano sghignazzato sul fatto che era composta di seconde e terze file accademiche prese perlopiù da università minori, senza neanche un nome di grido. L’unico intellettuale famoso avvicinatosi al M5S era stato Domenico De Masi, vecchio saggio della sociologia italiana, ma il suo nome non compariva tra i candidati ministri, chissà perché.

Adesso che si è votato, guarda tu il caso, si assiste invece ad un lento ma inequivocabile movimento al contrario. E a muoversi «in soccorso» sono stati tre pesi massimi dell’economia. Ha cominciato il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia: «Il M5S? Un partito democratico, non fa certo paura». Seguito addirittura dal gran capo della Fca Marchionne: «Abbiamo visto di peggio… Renzi? Irriconoscibile». Per finire con l’a.d. della Pirelli Marco Tronchetti Provera: «D’accordo con Marchionne, in passato governi irresponsabili». Con queste benedizioni, c’è da immaginare che presto seguiranno a ruota altre dichiarazioni di benvenuti all’attico, aperture di credito, manifestazioni di simpatia, ragionamenti inclusivi e benevoli.

Anche ai piani alti delle aziende che un tempo si chiamavano «parastatali» hanno alzato le antenne: nei prossimi mesi ci saranno decine di poltronissime da rinnovare e a prendere le decisioni saranno i nuovi inquilini di Palazzo Chigi e del palazzo del Tesoro a via XX Settembre, meglio cautelarsi si devono esser detti i super manager pubblici molti dei quali guardano ormai con distaccato senso critico agli errori del Partito democratico e del suo impetuoso leader. Come diceva infatti Giulio Andreotti, che di carri se ne intendeva, la gratitudine è un sentimento della vigilia.

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