Traffico cambiato
L’Italia in ritardo

La voce del dolore incrocia quella dell’indignazione. È mai possibile che su un’arteria di grande traffico in una città italiana improvvisamente almeno 35 persone perdano la vita, e molti altri siano in pericolo senza che nessuno abbia attentato alla loro esistenza? Se fosse stato un atto terroristico saremmo tutti alla ricerca dei colpevoli, ma in questo caso non possiamo incolpare nemmeno la natura con le esondazioni o con i terremoti. No, abbiamo fatto tutto noi, uomini, italiani. Abbiamo costruito a Genova un ponte nel 1963, inaugurato nel 1967 dal presidente Saragat, che pareva un gioiello di ingegneristica. La struttura a cavalletti rovesciati fu contestata sin dagli inizi e ancor due anni fa il professor Brencich, esperto di cemento armato, definiva l’opera così: il ponte Morandi di Genova è il fallimento dell´ingegneria. Adesso siamo nel 2018 e il ponte sino a ieri ha tenuto.

Aveva bisogno di manutenzione straordinaria e doveva essere di fatto ricostruito. Dodici mesi erano stati calcolati nel 2009 per la demolizione e lo smontaggio della struttura. Una proposta tecnica.

Ma tra il dire e il fare soprattutto nelle opere pubbliche c’è un mare di discussioni che spesso portano al niente. Il dato di fatto è che la rete di infrastrutture stradali in Italia ultimamente dà segni di evidente cedimento. Nel 2016 il ponte di Annone Brianza è crollato ed ha fatto per pura fortuna solo una vittima. Sull’autostrada adriatica A14 un ponte è crollato lo scorso anno mentre era in atto la manutenzione. Al Sud pezzi di strada inaugurati in pompa magna dopo pochi giorni cedono e diventano inagibili. Qual è dunque il problema? Si direbbe un’ovvietà, ma è la manutenzione e il monitoraggio. In Italia le grandi opere vengono sbandierate come trofei. Servono al prestigio del governo di turno, del politico che se ne appropria come merito personale. La cura quotidiana è invece anonima, è fatta di piccole attenzioni che non fanno notizia e che quindi vengono trascurate.

Prendiamo le Province tra ponti, viadotti e gallerie siamo a quota 30 mila. La legge di stabilità del 2014 ha tolto un miliardo alle Province perché dovevano essere abolite e in più ha negato loro la riscossione di 3,7 miliardi di tributi di loro spettanza. Risultato, a fine 2017 risultavano chiusi 5 mila chilometri di strade provinciali ritenute inagibili. E stiamo parlando di soldi per una manutenzione ordinaria. Ponti, viadotti e gallerie sono opere ben più complesse e quindi è da ritenere che adesso i cittadini italiani viaggino a loro rischio e pericolo. Il tutto in una situazione di traffico che è radicalmente cambiata. Basti viaggiare sul tratto Brescia-Milano per capire che gli autotreni richiedono per sé una corsia ed a volte due. Con un volume di traffico su gomma aumentato a dismisura non solo nell’intensità ma anche nel peso. Negli anni Sessanta quando furono costruiti i grandi viadotti italiani i carichi di 100 tonnellate non erano previsti. Adesso i trasporti eccezionali stressano ponti costruiti per frequenze di passaggio non di questo tipo. Si è mai posto qualcuno il problema? Ecco dov’è il ritardo. Ha senso opporsi alle grandi reti ferroviarie quando l’imperativo numero uno è togliere il traffico pesante dalle autostrade e dai viadotti? Hanno inventato da tempo i sensori. Basta inserirli sui ponti e in tempo reale l’ufficio competente sa qual è la capacità di tenuta dell’opera. La legge di stabilità del 2017 prevede 1,7 miliardi per la manutenzione delle strade provinciali. Ma chi si fa carico del problema complessivo? Milena Gabanelli l’ha fatto a marzo di quest’anno sul «Corriere». Ma la sua inchiesta è caduta nel vuoto. Come i morti di Genova.

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