Transizione ecologica alla canna del gas. E lo spettro del carbone

Tra i tanti maledetti conflitti che si combattono in queste ore sul fronte ucraino (militare, diplomatico, cibernetico, comunicativo) c’è anche quello energetico. La guerra, avventura senza ritorno, riporta sempre indietro l’umanità - a parte forse il progresso negli armamenti - e lo sta facendo anche sul piano ambientale. L’altro ieri in Parlamento il premier Mario Draghi ha evocato il ritorno massiccio alle centrali a carbone, nel caso il conflitto si dilungasse e venissero meno gli approvvigionamenti del gas, necessario non solo a produrre energia termica ma anche a ricavare quella elettrica.

Dopo anni di denunce ambientali, di movimenti «friday for future», di conferenze sul riscaldamento climatico, la guerra cancella tutto come una risacca e ci riporta alla vecchia economia del Novecento, con la minaccia inquietante di aumentare le emissioni di anidride carbonica, incrementare l’effetto serra e surriscaldare ulteriormente un Pianeta che ha già superato la linea di allarme.

Probabilmente, evocando le centrali a carbone, il premier ha voluto rassicurare il Paese da una crisi di approvvigionamento energetico. In realtà almeno fino a luglio dovremmo stare tranquilli. Se è vero che dipendiamo dalla Russia per il 40 per cento delle forniture di gas, il tiraggio degli altri gasdotti (Libia, Azerbaigian,Nord Europa, Algeria), è stato raddoppiato per un avvio anticipato delle riserve. Grazie agli altri fornitori dovremmo arrivare alla fine della stagione fredda e stare tranquilli fino all’autunno. Il ripristino delle centrali a carbone è un’ipotesi remota, almeno si spera.

Dal punto di vista economico invece è tutta un’altra storia. Di sicuro non possiamo evitare l’aumento dei prezzi, anche come ritorsione della guerra finanziaria che si sta combattendo tra Occidente e Putin, a cominciare dalle sanzioni. Gasprom, il monopolio russo del gas, ha razionato le forniture contro la decisione di Bruxelles di escludere le banche russe dai sistemi di pagamento in euro. Inoltre Mosca potrebbe bloccare il gasdotto Nord Stream 1 che rifornisce la Germania. Berlino a suo volta finirebbe per ricorrere ai nostri fornitori. Il risultato è il prezzo, già altissimo, che schizzerebbe ancora più in alto per l’aumento della domanda, causando a catena l’incremento di tutti gli altri prodotti e servizi, perché sono poche le industrie che possono fare a meno dell’energia elettrica, senza parlare dei consumi delle famiglie.

Certo pensare che in Italia si possa tornare all’autarchia non è realistico. L’indipendenza energetica per ora è un miraggio. Nel 1987 abbiamo rinunciato l’energia atomica dopo un referendum perché eravamo terrorizzati da Chernobyl. Le rinnovabili (eolico, pannelli solari, idrogeno etc.) richiedono tempo. Quanto alla nostra produzione di gas, nel 2020 abbiamo prodotto 4 miliardi e 417 milioni di metri cubi di gas naturale in un anno. Ma secondo lo stesso ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sarebbero anche meno, circa 3 miliardi, a fronte di un consumo che lo scorso anno è stato di 76,1 miliardi di metri cubi. L’obiettivo di Cingolani, sarebbe ora quello di aggiungere altri 2,2 miliardi di metri cubi, che porterebbe così il totale a 5 o 6 miliardi (dipende dalle stime). Si pensa ai giacimenti nel Canale di Sicilia da dove dovrebbe arrivare l’80 per cento del nuovo gas.

Un altro 15 verrà aggiunto da altri siti davanti a Emilia-Romagna, Marche (da dove proviene la gran parte dell’estrazione insieme ai giacimenti della Basilicata) e nel Mar Ionio. C’erano già forti difficoltà nell’approvvigionamento del gas in Europa, dovuto a fattori geopolitici. La guerra in Ucraina è una tempesta nella tempesta, con buona pace dei nostri portafogli e della nostra economia.

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