Astino, un simbolo
per la rinascita

Il giorno in cui si riconsegna alla comunità un patrimonio come l’ex monastero di Astino non può che rappresentare una data storica. Non è semplicemente una questione di orgoglio bergamasco, per aver riportato quasi all’antico splendore un complesso monumentale che fino a tre anni fa era poco più di un rudere: qui si va oltre, si oltrepassa qualsiasi confine geografico, si accantona ogni sguardo localistico per entrare in una dimensione simbolica, per certi versi universale, che vale cioè per tutti.

Perché per tutti valgono quei valori culturali e spirituali (non soltanto religiosi) che queste mura rendono oggi così evidenti. In questa piccola valle d’Astino si rincorrono date e avvenimenti che rinnovano antichi legami e rafforzano il forte significato allegorico di questa grande opera di restauro, iniziata formalmente il 14 novembre del 2007 quando, con uno sforzo economico non certo indifferente e un senso di responsabilità non comune, la Misericordia Maggiore acquistò il monastero e ne raccolse la sfida più difficile, quella di evitarne l’imminente sfascio: 900 anni prima, in quegli stessi giorni (era la fine del 1107), l’orefice Bonifacio aquistava da Pietro Celsone, per 15 lire d’argento, le vigne su cui oggi sorge il gioiello di Astino, voluto da San Giovanni Gualberto in un’opera di rinnovamento della Chiesa alle prese con la compravendita delle cariche ecclesiastiche, e rinato nel 750° di fondazione della Mia, sette secoli e mezzo dedicati «alla rivoluzione della carità» in tutta la provincia.

Ma l’ex complesso monastico di Astino è dentro la città di Bergamo, ed è giusto non mettere in secondo piano quell’orgoglio bergamasco che ben rappresenta la parte più sana della nostra terra e della nostra gente, quella forza buona e propulsiva capace di riuscire dove molti falliscono. A nemmeno un mese dalla riapertura dell’Accademia Carrara, accolta con giustificato entusiasmo dai bergamaschi, a loro ieri è stato riconsegnato anche il tesoro di Astino, un angolo che tutti noi custodiamo da sempre nel cuore per il fascino e le suggestioni che ha dato in ogni stagione. «Stravolto» dal sole o «attutito» dalla luna, non c’è coppia di innamorati che non abbia passeggiato in quella piccola valle tenendosi per mano, ma avvolte nelle brume invernali, quelle mura antiche e solenni sono state anche lo specchio di una stagione morta della nostra società, dove all’abbandono e all’incuria delle cose ha fatto eco quello dei valori più veri.

Oggi il complesso di Astino rappresenta però la rinascita, una sorta di nuovo umanesimo che pervade la nostra città e che sembra finalmente riuscire a portare a compimento una serie di opere e di interventi attorno ai quali Bergamo stava lavorando da tempo. Anche per questo, passeggiando nel chiostro dell’ex convento piuttosto che guardando le mirabili lunette del refettorio, gli affreschi della chiesa del Santo Sepolcro, la splendida torre del Guala o le larghe volte delle antiche cantine dobbiamo dimostrare la stessa fierezza che dal 23 aprile scorso abbiamo dipinto sul volto quando ammiriamo le tele del Pisanello o del Mantegna nelle sale della Carrara.

La sfida del recupero di Astino la si può considerare vinta, perché – ormai è certo – lo spettro dell’abbandono è definitivamente svanito. Tuttavia resta ancora molto da fare sia sul fronte del restauro (i lavori dovrebbero proseguire per un altro anno) sia su quello della destinazione d’uso. L’ipotesi di insediarvi una scuola di alta formazione di livello universitario nel settore dell’ospitalità (oggi con queste caratteristiche ce ne sarebbero soltanto un paio in tutto il mondo) sembra raccogliere ampi consensi: la Mia e l’Università ci stanno lavorando sodo, ma il percorso non è dei più semplici e per arrivare al traguardo servirà ancora tempo e grande impegno (anche di risorse economiche).

Fino al 31 ottobre Astino sfrutterà la scia dell’Expo di Milano, poi arriverà l’inverno e, gioco forza (per allestire l’impianto di riscaldamento bisognerà giustamente attendere la destinazione finale del complesso), quasi tutti gli spazi dell’ex monastero torneranno a chiudersi per riaprirsi in primavera. Ma il tesoro è lì, al sicuro, ben protetto. «La cultura – ha scritto il celebre direttore d’orchestra Claudio Abbado – è un bene comune primario, come l’acqua. I teatri, le biblioteche, i cinema sono come tanti acquedotti»: oggi, a pieno titolo, possiamo aggiungerci anche il complesso monumentale di Astino.

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