Un trattato per dare
respiro politico
all’Europa in crisi

Tocca a un autorevole economista, il francese Thomas Piketty, proporre una via di rilancio, difficile ma seria e ben orientata, per la stagnante Europa. In mezzo agli ormai inascoltabili fondamentalisti del libero mercato e della globalizzazione e alle fallimentari ricette dei politologi, anche nostrani, che per anni hanno ripetuto il mantra per cui, creando forti leadership governative nazionali, si sarebbe rafforzata anche l’Europa, spicca questa proposta di un Trattato di democratizzazione dell’Europa, che può essere conosciuta e sostenuta in rete (tdem.eu).

La premessa della proposta è del tutto condivisibile: si tratta di liberarsi dalla tenaglia tra un sovranismo illusorio e insostenibile, da un lato, e la difesa di un’indifendibile Europa del libero mercato e delle ineguaglianze crescenti, dall’altro. L’Europa può morire sia per mano dei sovranisti, sia per mano degli immobilisti arroccati a un iniquo status quo.

Lo scopo dell’iniziativa promossa da Piketty è di ridare all’Unione europea il respiro di un progetto politico credibile, uscendo dalle velleità di alcuni movimenti di protesta. Il respiro politico potrebbe trovare in alcuni beni comuni europei l’orizzonte a cui aprirsi: l’investimento nella ricerca e nella formazione, la lotta alle diseguaglianze sociali, il contrasto del riscaldamento climatico, il governo delle migrazioni. Perché la proposta appaia e sia concreta, occorre però che l’Europa sia dotata di risorse efficaci di intervento che solo una capacità di un investimento forte può fornirle. Da qui il cuore operativo del Trattato che consiste nella previsione di un cosiddetto budget di democratizzazione. Tale budget dovrebbe essere deliberato da un’Assemblea europea sovrana formata da parlamentari nazionali, in maggioranza, e da parlamentari europei dei Paesi aderenti al Trattato.

Questo bilancio (che dovrebbe essere della misura del 4% del Pil dei Paesi membri) potrà essere alimentato da quattro grandi imposte europee, che andrebbero a colpire rispettivamente i profitti delle grandi aziende, i redditi più alti, i grandi patrimoni e le emissioni inquinanti atmosferiche, in modo che l’Europa possa mettere in opera – con risorse proprie – un ambizioso programma di investimenti pubblici.

Un aspetto interessante di questa idea è che non prefigurerebbe una forma di redistribuzione tra Paesi, cosa che renderebbe difficile politicamente il consenso attorno a questo Trattato, ma di riduzione delle diseguaglianze all’interno dei differenti Paesi, in modo da poter alimentare una progettualità politica che crei avvenire per tutti gli Europei. Dal punto di vista procedurale, l’approvazione di questo nuovo Trattato vorrebbe aggirare l’ostacolo, rivelatosi pressoché insormontabile, rappresentato dalla modifica dei Trattati vigenti che esigerebbe l’accordo unanime dei 27 Paesi membri. Il nuovo Trattato potrà essere operativo con gli Stati che lo sottoscriveranno.

L’obiettivo dichiarato è quello di creare un nuovo spazio politico sovranazionale – di estensione progressiva – che non sia appannaggio di tecnocrazie o paralizzato da estenuanti negoziati tra governi, ma che sia luogo di concreto confronto democratico aperto a partiti, movimenti sociali, organizzazione sociali e cittadini. La proposta merita di essere conosciuta e discussa. Nei suoi dettagli può rivelarsi emendabile, come gli stessi autori ammettono. Ma la direzione è quella giusta e forse è anche l’unica che possa garantire all’Europa un futuro, che sia di pace e di democrazia, e non di risentimento o di malcelata egemonia di alcuni governi sui destini di tutti gli europei.

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