Un’eterna sfibrante
campagna elettorale

Nasce il governo di Carlo Cottarelli voluto da Sergio Mattarella. Nasce minoritario: già si sa che non avrà la maggioranza in Parlamento e che ci porterà velocemente alle urne, con ogni probabilità subito dopo l’estate, forse alla fine di settembre, comunque prima degli adempimenti di bilancio che vanno da ottobre a dicembre. Da adesso ad allora continuerà l’estenuante campagna elettorale che sta sfibrando il Paese, radicalizzando sempre di più le forze politiche, mettendo persino in discussione l’unica istituzione stabile dell’Italia, quella cui si guarda dall’estero nei frequenti momenti di crisi, la Presidenza della Repubblica. Contro Sergio Mattarella grillini e meloniani presenteranno una richiesta di stato di accusa per presunta violazione dei suoi obblighi costituzionali, avendo lui rifiutato di firmare la nomina di un ministro dell’abortito governo Salvini-Di Maio.

La Lega e Forza Italia non seguono questa strada, e senza i loro voti l’impeachment del Capo dello Stato si arenerà nella commissione che preliminarmente deve esaminare l’accusa e vagliare se inviarla al voto del Parlamento in seduta comune. Ma resta la violenza dell’attacco al Quirinale e la dichiarata volontà di togliere di mezzo l’attuale presidente per fare in modo che il prossimo non rifiuti di accondiscendere alle richieste imperative dei partiti. Questa di Di Maio tuttavia sembra soprattutto una trovata per allontanare da sé la sgradevole sensazione di aver perso l’occasione della vita, di essere arrivato a un millimetro dal governo e non essere riuscito a fare il passo decisivo. Ma ancor più, per coprire con una cortina fumogena il sospetto di essere stato usato da Matteo Salvini.

Il capo leghista ha insistito così tanto sul nome di Paolo Savona, rifiutando persino di sostituirlo con il suo braccio destro Giorgetti, da autorizzare i maligni a pensare che fosse lui a voler far saltare il tavolo, costringendo Mattarella a rifiutare la nomina e ad aprire la strada alle elezioni anticipate. Quelle che Salvini vincerà, come dicono tutti i sondaggi, ricompattando l’alleanza di centrodestra intorno a sé e candidandosi a fare il presidente del Consiglio di un centrodestra autosufficiente perché in grado di superare il quaranta per cento dei voti. È talmente sicuro di questa prospettiva, Salvini, da gigioneggiare in televisione dicendo che lui «dopo le brutte parole ricevute da certi alleati», «ci penserà» se sia il caso di allearsi con loro, e detta subito le sue condizioni: in primo luogo che Forza Italia non voti la fiducia a Cottarelli (cosa che infatti non avverrà). Berlusconi tornerà in campo potendosi di nuovo candidare, ma sa già che i numeri sono sempre più favorevoli alla Lega, e di questo non può non prendere atto. Da una parte dunque ci sarà «questo» centrodestra, dall’altra il M5S: si giocherà tra loro la partita per il primo posto.

Va comunque segnalato che, secondo alcuni, i due tronconi del populismo italiano, leghisti e grillini, potrebbero fare un cartello elettorale per dividersi a metà il prossimo Parlamento, ma non sembra una prospettiva molto concreta, almeno per ora. Quanto al Pd, rimane prigioniero dello stallo in cui si trova che gli impedisce di riconquistare un certo protagonismo politico: è pur vero che gli ultimi sondaggi danno i democratici in leggero miglioramento elettorale, probabilmente per il rientro di voti di sinistra dati ai Cinque Stelle , che infatti un po’ diminuiscono. Sarà dunque un’estate inquieta, di scontri virulenti, di grandi preoccupazioni per il sistema istituzionale, per la tenuta dell’economia e dei conti pubblici, per l’incertezza in cui continua a stagnare l’Italia della transizione che non finisce mai.

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