Unione addio in frontiera
Non passa lo straniero

Tante chiacchiere e tante polemiche, ma la lezione di quest’ultimo anno è chiara. Non sarà l’euro a far saltare l’Unione Europea, mentre è assai più probabile che ce la facciano i migranti. La moneta unica, ed è un paradosso, da tanti messa sotto accusa, alla fin fine si è rivelata un elemento di coesione: nessuno dei Paesi più stressati dalla crisi economica globale partita nel 2008, ovvero Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, ha mai pensato davvero a rinunciare all’euro e a rimettersi in proprio.

Nemmeno la Grecia che, arrivata al momento della scelta finale, ha preferito riaffidarsi alla troika e alle detestate ricette tedesche piuttosto di tornare alla dracma. L’ondata dei migranti, al contrario, sta facendo saltare molte delle conquiste europeiste, prima fra tutte l’Accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. In altre parole: gli Stati non si fidano più della comune frontiera europea e tornano alle frontiere nazionali.

L’Ungheria usa il filo spinato e le barriere, l’Austria ripristina i controlli al confine con l’Italia, la Francia si appresta a farlo e l’ha già fatto nel recente passato. La Germania apre e chiude, la Danimarca ferma i treni, la Gran Bretagna diventa sempre più isola e addirittura progetta di espellere anche gli immigrati comunitari. Ed è facile ipotizzare che altre nazioni si comporterebbero in quel modo, se fossero investite dagli stessi flussi migratori: pensiamo alla Repubblica Ceca, alla Slovacchia, alla Polonia, ai tre Baltici. Anche se a Schengen hanno aderito, a suo tempo volentieri, ben 26 dei 28 Paesi Ue, con l’eccezione di Gran Bretagna e Irlanda.

Nel modo più drammatico possibile, assistiamo alla rivincita della politica sull’economia. Ovvio, c’è tanta politica anche nella moneta unica, nella sua gestione, nelle strategie economiche destinate a sorreggerla. E c’è tanta economia anche nel controllo delle frontiere e dei flussi, nell’accoglienza e nei respingimenti.

Ma se badiamo ai numeri, possiamo dire che l’emergenza migranti non può in alcun modo essere una minaccia per la stabilità economica della Ue. Nel 2014 sono state accolte 650 mila persone e ne sono state espulse 400 mila. Salto attivo: 250 mila. Quest’anno, nei primi otto mesi dell’anno, sono arrivate 500 mila persone. E’ un’emergenza, certo, anche drammatica. Ma non un’impresa impossibile per un continente con 500 milioni di abitanti che è ancora, crisi o non crisi, il blocco economico più florido al mondo.

A patto però di affrontare il fenomeno come gruppo, comunità. Come, appunto, Unione Europea. Altrimenti succede quel che abbiamo visto e vediamo: singoli Paesi disuniti che, uno per uno, soccombono in fretta al fenomeno, dalla rigida Ungheria alla potente Germania, dalla Grecia in crisi perenne all’Italia per anni maltratta da tutti ma più capace degli altri di affrontare il fenomeno senza perdere in umanità. Per lavorare in gruppo, però, serve un ideale, un progetto comune. E quali sono, oggi, l’ideale e il progetto condivisi dai 28 Paesi membri dell’Unione Europea? C’è qualcosa di più importante e fondativo della moneta unica? O crediamo che basti varare le sanzioni contro la Russia per fare il pieno di valori al motore comunitario?

L’euro che alla fin fine resiste e le frontiere che alla fin fine rispuntano raccontano un’altra e più mediocre storia. Parlano di un’Unione che si presenta come tale quando ci sono da dividere fondi strutturali, vantaggi, privilegi. Ma che si sfarina quando da mettere in comune c’è anche qualche svantaggio. L’esatto contrario di ciò che servirebbe. L’opposto di ciò per cui l’ideale europeista vorrebbe battersi.

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