Scienza e Tecnologia
Mercoledì 06 Marzo 2024
A Verona un raro astrolabio, lo 'smartphone' dell'antichità
Individuato a Verona un raro astrolabio islamico dell'XI secolo con iscrizioni arabe ed ebraiche che testimoniano un fitto scambio scientifico tra culture diverse: veniva usato come uno smartphone o un computer portatile ante litteram, per calcolare il tempo, le distanze, tracciare la posizione delle stelle e persino prevedere il futuro attraverso l'oroscopo. La scoperta è pubblicata sulla rivista Nuncius dalla storica Federica Gigante dell'Università di Cambridge, in Gran Bretagna.
La ricercatrice si è imbattuta per caso nell'astrolabio di Verona visitando il sito web della Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo. Incuriosita dall'oggetto, si è recata personalmente a Verona per studiarlo più da vicino, scoprendo che vi erano incise non solo iscrizioni in arabo, ma anche in ebraico.
“Questo non è solo un oggetto incredibilmente raro", afferma Gigante. "È un’importante testimonianza dello scambio scientifico tra arabi, ebrei e cristiani nel corso di centinaia di anni. L’astrolabio di Verona ha subito molte modifiche, aggiunte e adattamenti man mano che passava di mano. Almeno tre utenti distinti hanno sentito il bisogno di aggiungere traduzioni e correzioni a questo oggetto, due utilizzando l’ebraico e uno utilizzando una lingua occidentale”.
Analizzando nei dettagli l'astrolabio, la ricercatrice ha potuto stabilire che è stato realizzato nell'XI secolo in Spagna, probabilmente a Toledo sotto il dominio arabo. Una seconda placca aggiunta riporta iscrizioni che fanno riferimento alle latitudini nordafricane, suggerendo che successivamente l'oggetto possa essere stato usato in Marocco o in Egitto. Altra aggiunte e traduzioni ebraiche "suggeriscono che a un certo punto l’oggetto lasciò la Spagna o il Nord Africa e circolò nella comunità ebraica della diaspora in Italia, dove l’arabo non era compreso e veniva invece usato l’ebraico”, precisa Gigante.
E' probabile che nel XII secolo l'astrolabio arrivò a Verona, dove viveva una delle comunità ebraiche più antiche e importanti d'Italia. Nel Seicento sarebbe entrato nella collezione del nobile veronese Ludovico Moscardo, passando poi per matrimonio alla famiglia Miniscalchi, fondatrice nel 1990 della Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo dove è preservato il reperto.
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