Azzardo di Stato

Frenata e retromarcia. La notte ha portato consiglio al governo e le 22.000 nuove concessioni per punti scommesse si sono trasformate in semplici aste di quelle in scadenza, per un totale di 500 milioni pronti a entrare nelle casse pubbliche.

Poiché sul tema lo Stato tende a giocare d’azzardo da alcuni anni infilando sgradite novità nelle pieghe di decreti omnibus, meglio stare sulla torretta d’avvistamento in attesa di sorprese.

Le slot machines e i videopoker hanno attecchito ovunque, stanno procurando danni sociali e psicologici enormi, ma tutto ciò non impedisce al Palazzo di mantenere un ruolo ambiguo, permeato da un’ipocrisia neppure latente. Perché se con una mano lo Stato incassa otto miliardi dal business, con l’altra stanzia due miliardi (in crescendo) per finanziare le cure alle ludopatie. È vero che il rapporto è di uno a quattro, ma questo non ci impedisce di vergognarci per un meccanismo amministrativo che predilige il guadagno spinto all’eccesso alla salute dei cittadini.

C’è un altro motivo, forse meno conosciuto, per rimanere interdetti davanti all’atteggiamento double-face. Nei documenti legislativi nessuno può scrivere «gioco d’azzardo» per il semplice motivo che in Italia resta illegale. Insomma è un reato. Come aggirare la legge? Basta chiamarlo «alea con posta in denaro», un dolce stil novo per renderlo poco più di una riffa o di una tombola natalizia con i fagioli. I controlli per «un’alea» così innocua vengono lasciati alla Siae. Come se si trattasse di cinema o teatro. Con la differenza che qui assistiamo - nell’indifferenza dei governi - al declino della società.

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