Come ai vecchi tempi

Mai elezioni così piccole hanno avuto effetti così grandi. La maggior parte degli elettori ha preferito occuparsi d’altro, eppure gli schieramenti politici confusi nel magma di una stagione senza un centro di gravità (permanente o no, con la colonna sonora di Battiato o no) hanno trovato per magia una loro posizione sullo scacchiere parlamentare.

Non erano trascorse 24 ore dalla disfatta in Emilia Romagna e in Calabria che già Berlusconi battezzava un nuovo centrodestra, neanche fosse il Milan: Salvini centravanti, lui regista e Alfano («Sono pronto a perdonarlo») centromediano davanti alla difesa. La mossa ha uno scopo: tenersi in casa i voti della Lega movimentista e barricadera, sapendo perfettamente che ce n’è un’altra (quella di Maroni e Zaia) che oltre a scandire slogan di pancia governa due regioni chiave come Lombardia e Veneto, e può essere una risorsa per il rilancio della coalizione.

In mezzo c’è la balena rosa Pd , mai così centrista come ora. Il premier lo guida non senza derapate, ma la sensazione derivata dal voto del Jobs Act è forte: le minoranze si stanno trasformando in correnti e la dialettica interna impedisce per ora rumorose deflagrazioni. A sinistra, dove lo spazio libero somiglia a una prateria, si sono posizionate la Cgil e la Fiom con una precisa anima politica. Camusso rappresenta l’establishment che non regge le accelerazioni, Landini il rosso antico. Destra, centro, sinistra: l’Italia si è messa in posa per la foto come ai vecchi tempi. E improvvisamente Grillo ha scoperto di non esserci

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