Dietro la lavagna

Ma cos’ha detto di così riprovevole Matteo Renzi davanti alla lavagna per indignare partiti di sinistra (anche parte del suo), sindacati e insegnanti? Ha detto che una professione delicata e strategica come quella del docente deve essere severamente valutata. E a farlo dev’essere anche (non solo, ma anche) il preside che guida l’istituto scolastico.

Ha detto che il mondo della scuola - dirigenti, insegnanti, personale non docente - deve sottoporsi alla regola della meritocrazia che in ogni campo della vita e del lavoro accompagna i cittadini (o almeno dovrebbe) fino alla pensione. E come sintetizza su Facebook un educatore a me molto caro « che l’apprendimento dev’essere certificato con prove oggettive, che alla carriera si accede per pubblico concorso (lo scrive anche la Costituzione), che la libertà di insegnamento è sacra ma esclude la libertà di non insegnare, che gli organi collegiali (ormai vuoti simulacri) vanno riformati dalle fondamenta, che l’autonomia vera e piena deve prevedere risorse umane e finanziarie governate dall’istituto, che la scuola deve cessare di essere un carrozzone e che il blocco degli scrutini ci riporta all’epoca di Bakunin». Ha detto questo, Renzi.

E al di là dello show del gessetto, tutti l’hanno capito perché era chiarissimo. Ed è probabile che tutto questo lo condividano genitori, studenti, insegnanti, presidi e personale non docente che non vanno in piazza. Perché dovrebbe essere così grave da indurre una rivolta da descamisados fuori dal tempo? A quella scuola bisogna arrivare. Il resto è Grecia. Ma non quella di Socrate e Pericle, quella di Varoufakis.

@gandolag

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