«Se questo è il presente...»

di Giambattista Gherardi

«Attendere, prego». Ce lo sentiamo ripetere all’infinito, basta affrontare il numero verde di qualche santuario della burocrazia. L’attesa è il comune denominatore di un’Italia che aspetta, sfiduciata

Giambattista Gherardi

«Attendere, prego». Ce lo sentiamo ripetere all’infinito, basta affrontare il numero verde di qualche santuario della burocrazia. L’attesa è il comune denominatore di un’Italia che aspetta, sfiduciata, ripresa e nuovi orizzonti. Un piccolo mondo che vorrebbe «cambiare passo» stando seduto ad una tastiera.

In questi giorni le coincidenze della cronaca hanno proposto e ricordato attese diverse. Innanzitutto le attese che, alla fine del secolo scorso, fremevano davanti alle sale operatorie dell’Ospedale Maggiore, dove la trepidazione di tanti genitori si scioglieva in gioia grazie al professor Lucio Parenzan, istrionico istriano.

Emozioni profonde, come quelle che hanno accomunato migliaia di cittadini a Milano, con occhi gonfi ed orecchio attento davanti alle porte aperte di una Scala vuota, che ha salutato il maestro Claudio Abbado, eterno senatore della melodia. Attese per due giganti, persone in cui volitiva umanità e suadente sentimento hanno sposato competenza e talento. Esempi concreti per guardare al futuro.

Altri, davanti al Teatro Donizetti di Bergamo hanno ingannato la verità e l’attesa in modo del tutto diverso. A poche ore dallo spettacolo di Luca Zingaretti, (in cui, ironia della sorte, si narra proprio di un direttore d’orchestra), hanno imbrattato il sacrificio di milioni di ebrei con bombolette spray, cupe come quegli anni. «Se questo è il presente - avrebbe forse detto Primo Levi - chissà il futuro». Il futuro è adesso, è tempo di smettere di aspettare. Da Largo Barozzi a Piazza della Scala possiamo suggerire, a quelli del Donizetti, nuove melodie.

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