E tu sei friendly?

di Giorgio Gandola

La signora ha deciso di spostare suo figlio dalla scuola, la pazienza era arrivata al limite. Perché il prof di matematica l’aveva preso a sberle davanti a tutti alla prima moltiplicazione sbagliata? Perché i compagni l’avevano fatto oggetto di atti di bullismo (il ragazzo è timido e lievemente sovrappeso)?

La signora ha deciso di spostare suo figlio dalla scuola, la pazienza era arrivata al limite. Perché il prof di matematica l’aveva preso a sberle davanti a tutti alla prima moltiplicazione sbagliata? Perché i compagni l’avevano fatto oggetto di atti di bullismo (il ragazzo è timido e lievemente sovrappeso)?

Perché la retta è raddoppiata e con lo stipendio morso dalle tasse con gli incisivi di Suarez la famiglia non ce la fa a onorarla? Niente di tutto ciò.

La signora lo ha spiegato in un’accorata lettera al preside: «Perché il ragazzo ha vissuto con troppa ansia questo liceo poco friendly». Poco friendly. Poco amichevole, confortevole, accogliente, amabile. Come un materasso ad acqua o un cognac riserva speciale.

Nessuna intenzione di dileggiare chi ha preso una decisione così radicale, ma converrete che la motivazione è originale. Si tratta del liceo d’una grande città italiana, ma in questo caso non è la geografia a fare la differenza. Immaginiamo il preside esterrefatto e preoccupato che l’essere friendly debba diventare un valore imprescindibile.

Lui, cresciuto con il mito della qualità dell’insegnamento, del progetto educativo e di un certo rigore morale, oggi non sa più che pesci pigliare. Ma siamo sicuri che nel 2014 un liceo debba essere per forza friendly?

E l’insegnante che per la famiglia ha sempre torto visto che riesce a piazzare qualche 4 fra le scapole del nostro genio incompreso, come fa a diventare friendly? Non sono domande da poco. Senza conoscere le risposte azzardiamo un giudizio: la scuola poco friendly ci rassicura.

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