I duellanti

C’è sempre un momento chiave in una partita a scacchi, e non è mai il momento in cui cade il re. Quando ciò avviene, tutto si è consumato da tempo; Trafalgar, Stalingrado o Zama sono solo il sancire qualcosa avvenuto prima.

Nel braccio di ferro di Bruxelles, la contrapposizione non era fra europeisti e greci, fra creditori e debitori. Ma fra chi voleva Atene fuori dall’Europa (per cinque anni o per sempre) e chi no.

Conclusa la partita, adagiatosi il polverone, preso atto che i gesti collettivi sono sempre nel cervello e nelle mani degli uomini (ci sarebbe anche il cuore, ma forse non è questo il caso) l’analisi è più facile.

Il momento chiave della domenica più lunga dell’euro è stato sabato sera quando il presidente della Bce, Mario Draghi, stava spiegando - per venire incontro alla Grecia - come far acquistare dal fondo Salvastati 18 miliardi di debiti, consentire così ad Atene di riscadenziare le rate per non incorrere nella tagliola del 20 luglio e cominciare a respirare.

A quel punto il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ha alzato la voce e lo ha interrotto: «Non prendermi per stupido». Seduta sospesa, tensione altissima. Ma una consapevolezza che con il trascorrere delle ore è diventata palpabile: il falco di Berlino era solo. Come Féraud nei Duellanti di Conrad.

È stata la svolta, Draghi protagonista. Lui, al quale Schauble non ha ancora perdonato quel «Whatever it takes» (costi quel che costi) che ha salvato l’euro nel pieno della crisi monetaria e ha tolto alla Bundesbank il diritto di ultima parola. Tsipras sa che, al di là delle claques di comodo, c’è chi vuole dare un’altra possibilità alla Grecia. Non strilla in piazza, ma è italiano.

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