Il Califfato di Tavecchio

di Giorgio Gandola

Mentre il Califfato avanza e il Senato si dimezza, un tema angosciante si addensa sulle teste degli italiani: chi sarà il nuovo presidente della Federcalcio? Carlo Tavecchio ormai noto come il Banana, Demetrio Albertini che passava di lì per caso o nessuno dei due?

Mentre il Califfato avanza e il Senato si dimezza, un tema angosciante si addensa sulle teste degli italiani: chi sarà il nuovo presidente della Federcalcio? Carlo Tavecchio ormai noto come il Banana, Demetrio Albertini che passava di lì per caso o nessuno dei due?

L’interrogativo è pregnante e il rinnovamento in chiave tedesca del nostro calcio (nel senso che dovremmo somigliare a Berlino come nell’economia) passa dal voto di domani. Ricordiamo i tempi della gioventù, quando Indro Montanelli intimava di non pubblicare foto di «papaveri incravattati almeno nello sport, già percorrono in lungo e in largo il resto del giornale», come a dire che in quell’oasi contano i gol e le imprese, non la politica. E invece eccoci qui a definire il perimetro del nuovo attraverso un’elezione che ci risulta lievemente assurda.

Per due motivi. Il primo, un signore capace di gettare via tutta la credibilità personale nel discorso della vita (quello nel quale non si deve sbagliare una virgola) ci sembra inadeguato a prescindere. E parliamo di Tavecchio.

Secondo, chiediamo rinnovamento a chi è stato vicepresidente di Abete, quindi per anni ha contribuito allo sfascio culminato nella disfatta brasiliana. E parliamo di Albertini e Tavecchio. Morale, nessuno dei due ha la fisionomia del condottiero innovatore, e infatti nove società di serie A hanno chiesto ai candidati di fare un passo indietro. Meglio un commissario (in attesa di individuare un personaggio prestigioso o almeno credibile) che due re travicelli. Ci sembra una decisione saggia, peccato che non sia stata sposata anche dall’Atalanta. Con Tavecchio sul trono, al prossimo lancio di banane - a Bergamo è già successo - sarà difficile prendersela con gli ultrà.

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