Il cespuglio di Rho

Parcheggia la bicicletta nel cortile e torna sulla cattedra.Torna fra i banchi, torna davanti alla lavagna a scrivere tutto ciò che ritiene utile, tranne petaloso (speriamo). Insomma, il professor Stefano Rho - ribattezzato «capitano, mio capitano» dai suoi studenti - esce dall’incubo della giustizia amministrativa e si riprende la sua vita.

Aveva fatto la pipì dietro un cespuglio una sera del 2005, era stato denunciato per questo (l’eccesso di zelo non è mai una virtù) e s’era dimenticato di scriverlo in un modulo di autocertificazione. Licenziato per mendacio. La notizia ha fatto il giro d’Italia sui giornali, poi amplificata dal web e dai social network, poi ripresa di nuovo dai giornali secondo un corto circuito schizofrenico ma ormai consueto, quindi approdata in Parlamento con richiesta esplicita alla pubblica amministrazione di tornare a una normalità di giudizio e di comportamento, bypassando con il buon senso le rigidità del protocollo.

È accaduto questo e il professor Rho può festeggiare la Pasqua con i suoi tre figli da docente giustamente reintegrato. Tutto è bene quel che finisce bene, con due postille.

La prima riguarda gli altri 50 insegnanti (solo nella Bergamasca) invischiati nello stesso pasticcio ma neppure presi in considerazione dal moloch pubblico per il semplice motivo che il loro nome e il loro caso non sono mai finiti davanti all’indignazione popolare.

La seconda riguarda il ruolo fondamentale dell’informazione - criticata, vilipesa, che in questa storia avrebbe la parte del cespuglio - ma sempre straordinariamente utile nell’affiancare i cittadini. E supportarli nelle loro battaglie di civiltà.

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