Il clima di Parigi

Su Parigi nuvole e vento atlantico come al solito. Obama l’ha detto chiaro: se non si troverà il modo di tenere sotto i due gradi (meglio 1,5) l’aumento della temperatura del pianeta entro fine secolo si rischia grosso. In linea di principio - e facendo la tara a un’urgenza spalmata su un secolo -, ha ragione.

Ma se invece di proclami facesse una legge per ridurre anche solo del 30% le emissioni nel suo Paese entro il 2050 saremmo a buon punto. Se poi convincesse cinesi e indiani a imitarlo, si potrebbe chiuderla qui e andare al Louvre. Il grande meeting sul clima prosegue nella speranza che i leader mondiali trovino accordi meno precari di quelli sulla Siria, dove anche cento giorni di minuetti potrebbero essere troppi. Situazione confusa, a Parigi, ma con una buona notizia. La Fao ha pubblicato la mappa dello stato di salute delle foreste (Global forest resources assessment 2015) scoprendo che la deforestazione del pianeta è rallentata del 50% negli ultimi 25 anni nonostante la crescita di popolazione e consumi. I risultati più confortanti arrivano da Nord America, Europa, Oceania. Anche l’Asia migliora, il che conferma ciò che sostiene Papa Francesco: la sfida è sempre in Africa.

Detto questo, i convegni sull’ambiente non bastano. Ricordiamo quando Tony Blair voleva trasformare Londra in una città green e chiese finanziamenti per ospitare una mega-manifestazione con sfilata di capi di Stato a coda di pavone come adesso, perché green è anche business. Il suo formidabile spin doctor Alastair Campbell lo dissuase dicendo: «Soldi buttati. Ripulisci il Tamigi, facci tornare le carpe e avrai più successo». E così accadde. Iniziative concrete, una coscienza che cambia. Questo serve, e forse il mondo riuscirà a vincere la partita prima di cento anni.

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