Ismail, 3 anni
soldato

Far propaganda con i bambini. Purtroppo accade ed è la peggiore delle manipolazioni perché non tocca la testa o la pancia di chi riceve il messaggio, ma il cuore.

C’è un bimbo di tre anni che si chiama Ismail e che per due volte è ritratto in primo piano in fotografie inneggianti l’Isis e la guerra santa, postate sul web e sui social network (quella che pubblichiamo è tratta da Facebook) dai fiancheggiatori dei guerriglieri neri.

Si vede Ismail - capelli biondi corti, felpa nera, pantaloni militari, bandana sulla fronte e un kalashnikov giocattolo appeso al collo - tenuto per mano da un combattente dello stato islamico. Didascalia: «Così si comporta un vero fedele di Allah». Ma nei bambini gli occhi dicono tutto, e quelli di Ismail sembrano cercare chi non c’è dentro il suo orizzonte di guerra: la mamma.

Si chiama Lidia Solano Herrera, è cubana, vive a Longarone e guardando quelle immagini ha riconosciuto suo figlio, che il marito bosniaco aveva portato via qualche mese fa dopo aver abbracciato la regola fanatica di Al Baghdadi. Una donna disperata che sa che il suo cucciolo è vivo, ma quasi nulla può fare per riaverlo. Lidia ha denunciato la scomparsa alla procura di Venezia, ha saputo che il padre è stato ucciso in uno scontro a fuoco in Siria e che il suo bimbo adesso è un involontario «piccolo combattente della rivoluzione», ostaggio della Jihad.

Questo accade quando il mondo dei grandi sceglie per tutti, quando i figli e i nonni diventano scudi umani, quando la propaganda lavora a pieno ritmo per minare le coscienze occidentali. Il mitra del piccolo Ismail è finto, ma solo perché quello vero pesa troppo.

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